Dalla sua proclamazione, lo sciopero generale ha riportato nel dibattito pubblico vocaboli desueti. La critica, esplicita o silente, nei confronti della decisione di Cgil e Uil di sollevarsi contro la politica economica del governo Draghi ha, involontariamente, gettato un po’ di luce sulle questioni proprie della protesta: i salari stagnanti da più di un trentennio, l’adozione di aliquote fiscali che non favoriscono i ceti più svantaggiati, il Pnrr privo di una visione di sviluppo più equo.

Lo sciopero si è rivelato quindi necessario per alzare il velo sulle diseguaglianze, sulla distribuzione della ricchezza e sui conflitti socio-economici che attraversano la nostra società. Di riflesso, sul ruolo che la politica ha o dovrebbe avere nel governare il cambiamento. Tutti temi, questi, che Fabrizio Barca discute nel libro-intervista Disuguaglianze Conflitto Sviluppo. La pandemia, la sinistra e il partito che non c’è (Donzelli, pp. 200, euro 15), a confronto con Fulvio Orefice. Anche grazie a questa forma dialogica l’effetto complessivo è, nel contempo, straniante e tonificante. Costringe a interrompere il filo dei pensieri per trovare nuovi nodi e intrecci; apre uno spiraglio di speranza in un panorama altrimenti desolante; restituisce un orizzonte di possibilità al futuro.

IL LIBRO PRENDE LE MOSSE da una precisa diagnosi di fase: le diseguaglianze – economiche, sociali e di riconoscimento – sono cresciute in virtù di scelte politiche intenzionali che hanno (ri)disegnato quadri regolativi e rapporti di potere. Non c’è niente di «naturale» o inevitabile in esse. Le scelte fatte negli ultimi decenni hanno reso opaca la distinzione tra profitto e rendita, favorito i profitti delle grandi imprese rispetto alla concorrenza, trasformato il lavoro in un dono, abbinato la povertà alla colpa e relegato la diversità territoriale a un residuo del passato. La sinistra ha perso, e lo ha fatto male. È stata sconfitta o si è travestita da destra, o tutte e due le cose assieme, vergognandosi del proprio vocabolario.

Per questo bisogna ritrovare il senso delle parole, ma a questo scopo non bastano le strategie discorsive. Sono gli interessi e la loro rappresentanza che definiscono i quadri di senso, non viceversa. Occorre ricostruire il circuito della rappresentanza politica, tornare agli interessi oggettivi e ai rapporti di forza: di classe, etnia, genere e (oggi) alla giustizia climatica. Insieme, non come alternative. Occorre re-intermediare la domanda politica, sottraendola al circuito perverso della comunicazione disintermediata tra popolo e leader.

MA COME FARLO, in Italia? In modo spiazzante e forse complice la sua biografia (fin dalla dedica, in questo libro c’è molto di personale), Barca parte dall’economia e non dalla politica, affermando che è prima di tutto necessario riconoscere i limiti della borghesia imprenditoriale nostrana, ammalata di «capitalismo clientelare», per sostenere invece la parte più innovativa della struttura produttiva, sia privata sia pubblica, attraverso missioni strategiche, trasferimento tecnologico e rinnovamento del management. Qui una cruciale implicazione politica. È ovvio che, a fronte di tale analisi, nessun partito di sinistra potrà presentarsi come il partito che parla solo in nome e per conto della borghesia imprenditoriale: se lo facesse sarebbe solo il partito della conservazione e della rendita. Quello che, in fondo, è successo in questi decenni.

ALLA DOMANDA su quale debba essere il punto d’appoggio di una politica di sinistra, Barca risponde guardando alle organizzazioni della cittadinanza attiva, a quelle del lavoro, alle esperienze di innovazione sociale radicale e alle azioni collettive nei territori. Soggetti e realtà che vanno connesse. In questa prospettiva, va l’esperienza del Forum Diseguaglianze e diversità, la cui azione punta ad aprire conflitti pubblici e trasparenti tra interessi contrapposti. «Essere di sinistra» significa anzitutto riconoscere che il conflitto tra interessi è «l’ipotesi nulla» della politica, quella che viene assunta come vera finché non si trova la prova che la confuti. La sinistra post 89 ha percorso, invece, la strada opposta: ha assunto come vera la convergenza tra interessi, attribuendo al corso degli eventi l’onere della smentita. La madre di tutti gli errori, il padre di tutte le sconfitte.

DA QUI, da questo piccolo ma determinante punto occorre ripartire, traendone le implicazioni culturali, politiche e organizzative del caso. L’avviso è rivolto soprattutto agli eredi del Pci, citati con quell’amarezza che si riserva all’amico di cui non si ha nostalgia. L’occasione per farlo è rappresentata da due sfide, affrontate nella seconda parte del libro: l’attuazione del Pnrr e la riforma dell’Unione europea.
Su queste due sfide, lungo le linee politiche prima discusse, è possibile sperimentare un terreno per costruire quell’alleanza a sinistra discussa anche su questo giornale. La leva necessaria è l’accettazione del conflitto sociale come terreno di analisi e confronto, la cui negazione porta solo acqua al mulino delle destre.