Pubblichiamo stralci del memoriale reso dalla signora Ablyazov ai suoi avvocati il 22 giugno che contraddicono palesemente la polizia italiana.

61. In totale ho trascorso circa 15 ore in questo ufficio immigrazione (è il 29 maggio, ndr). Per la maggior parte del tempo ho risposto alle stesse domande ripetutamente. Non avevo mangiato né bevuto nulla dalla sera prima. (…) Intorno alle 21:30 sono crollata. Mi sono resa conto che ero stata vista da troppe persone e che non sarebbe stato così facile uccidermi. Ho capito che non mi avrebbero permesso di contattare un avvocato. Ho deciso di dir loro chi fossi e perché mi trovassi in quella situazione. Ovviamente, non volevo dire nulla senza un avvocato, ma non avevo più la forza di lottare per i miei diritti. I miei nervi non l’avrebbero sopportato. Mi sono seduta a fianco del capo dell’ufficio immigrazioni (o almeno credo fosse il capo dell’ufficio immigrazioni; nessuna di queste persone si è mai presentata e dunque questo è semplicemente il modo in cui mi riferirò a lui nel corso della mia testimonianza) e ho iniziato a parlare.

[do action=”quote” autore=”Alma Shalabayeva”]«Erano circa in 12. Si sono raccolti tutti intorno a me e al capo e hanno iniziato ad ascoltare la mia storia.
E registravano tutto»[/do]

Ho ammesso di essere del Kazakistan. Ho detto di essere kazaka e di essere la moglie del leader dell’opposizione kazaka. Il capo ha iniziato ad agitarsi e a tradurre quello che dicevo alle persone della squadra che aveva fatto irruzione. Erano circa in 12. Si sono raccolti tutti intorno a me e al capo e hanno iniziato ad ascoltare la mia storia. Ho detto loro che il mio paese era governato da un dittatore che era al potere da oltre 20 anni. Ho detto come stavano le cose. Ho detto che Nazarbayev sterminava i leader dell’opposizione. Ho spiegato come avessero ucciso Altymbek Sarsenbayev e i suoi collaboratori. Ho raccontato loro di Zhanaozen e di come avessero sparato sugli scioperanti. Ho raccontato di come avessero incarcerato Vladimir Kozlov. Ho detto che queste informazioni erano disponibili su Internet. Tutti ascoltavano con attenzione la traduzione del capo. Ho anche detto loro come e perché avessero arrestato mio marito. Mi aveva raccontato di essere stato rinchiuso in una scatola di ferro all’interno della prigione. Ho detto loro che tutta la ricchezza del Kazakistan è in mano a Nazarbayev. Ho detto che mio marito era proprietario di una delle banche più potenti dell’ex Unione sovietica e che Nazarbayev se l’era presa. E che ora Nazarbayev controlla l’intero sistema bancario del Kazakistan. Ho detto che eravamo andati a Londra. In Inghilterra mio marito aveva ricevuto asilo politico. Ho detto di avere un passaporto kazako. Di avere il permesso di residenza in Inghilterra, collegato al mio passaporto kazako. Che ho il permesso di residenza in Lettonia. Ho detto loro come stavano le cose. Che mio marito aveva dichiarato alla televisione che il presidente ruba e che lui ne aveva le prove. Che nessun altro era in possesso di queste informazioni. Di come i soldi vengono presi dal Kazakistan. Che Nazarbayev ha ordinato l’assassinio di mio marito. (…)

62. Non appena ho finito di parlare, ho visto che spegnevano i registratori (…).

31 maggio, l’imbarco all’aeroporto

100. (…) Avevo già capito che avevano intenzione di mandarmi in Kazakistan (è il 31 maggio, terzo giorno del sequestro, la signora  è ormai all’eroporto di Ciampino, ndr). Sapevo cosa questo avrebbe significato per me, per mio marito e per i miei figli. Ho camminato verso una delle persone che erano sedute nella stanza e ho detto in inglese: «Chiedo asilo politico!». L’ho detto più volte a voce alta e guardando diritto verso questa persona. Fece finta di non capire, ma so che aveva capito. C’erano anche due persone nella stanza, oltre a Laura (una poliziotta, ndr). Sono tutti usciti fuori dalla stanza e hanno chiuso la porta (non a chiave). Rimasi sola con mia figlia. (…)

101. Tutto ad un tratto, intorno alle 18:00, Laura entrò, prese mia figlia e corse fuori con lei. (…) La inseguii, in quel momento non riuscivo a pensare a niente. Laura con mia figlia in braccio correva in direzione di un mini-bus che era all’interno dell’aeroporto, praticamente sulla pista. Saltò su questo mini-bus. La raggiunsi dentro, il bus partì. Era un trucco per farmi salire sul bus. (…) Ho detto a Laura: «Laura voglio l’asilo politico!» ma lei mi ha detto teneramente: «E’ troppo tardi, tutto è già deciso». (…)

104. (la signora è accanto alla scaletta dell’aereo, sulla pista, ndr) L’uomo italiano mi ha detto: «Ora voglio leggerle un documento. Deve rispondere sì o no». Ha iniziato a leggere il documento in italiano. L’uomo di nome Nurlan traduceva il testo. Disse: «Devi affidare la bimba a Vladimir Simakin». Ero sotto shock. Questo era un uomo ucraino che lavorava in casa nostra e che era il nostro autista. Perché devo affidare mia figlia ad una persona che non è un membro della famiglia?! Era un’assurdità! Questa bimba ha una famiglia. Perché non hanno nominato Venera, mia sorella? Non ho capito perché volevano portare via mia figlia e darla ad una persona che non era un membro della famiglia! Non risposi e dissi in russo: «Chiedo asilo politico».

105. Questo «Nurlan» dall’ambasciata del Kazakistan ha tradotto la mia richiesta in italiano. Da quanto ho capito, l’aveva fatto correttamente. L’italiano ha detto in inglese: «E’ impossibile». Ha detto che la decisione era già stata presa dai vertici, che era già troppo tardi, ma non ha detto chi aveva preso questa decisione. Hanno chiesto se volevo portare mia figlia con me. Mi hanno messo davanti a una scelta: dare la mia bambina ad un estraneo di cui non potevo fidarmi o portarla con me. Ero, naturalmente, costretta a dire che avrei portato mia figlia con me, ma perché volevano che dessi mia figlia di sei anni in affidamento ad una persona estranea? Per poi prenderla da lui? Ero semplicemente inorridita. Ho detto: «Io non ho intenzione di dare via la mia bambina!» Mi hanno detto di firmare un documento se non volevo dare mia figlia a Vladimir. Firmai.