Era felice Eugenio quando ci siamo sentiti sette giorni fa. Ancora una volta si preoccupava che le compagne e i compagni fossero tristi per il suo male. Viveva i suoi dolori con voluta leggerezza, per non rattristarci. Era felice, nelle ultime settimane, perché trenta anni fa, quando divenne parlamentare europeo di Democrazia Proletaria, il Vaticano lo aveva “spretato”, ritenendo incompatibile il suo essere sacerdote con il suo essere comunista, ultimo tra gli “ultimi”. Riteneva, questo, un errore grave della “sua” Chiesa, più che un torto fatto a lui. Ma aveva recentemente incontrato papa Francesco, grazie al suo Ordine, quello dei Saveriani. Il papa, abbracciandolo, gli aveva detto: ” Eugenio, hai fatto bene”.

Ci ha comunicato emozione, entusiasmo, la sua gioia quando, il 20 ottobre, ha di nuovo celebrato messa. Era felice perché non era più scisso tra l’amore per il Vangelo ed il suo agire comunista. “Ho sempre pensato, infatti, che il Vangelo e il Capitale di Marx fossero, insieme, i fondamenti dell’anticapitalismo e del comunismo”. Le opere di Eugenio, il suo vissuto di compagno ( parola a cui teneva moltissimo per il suo significato etimologico di condivisione, di amore) tenteremo di narrarlo , insieme alle associazioni pacifiste, antirazziste, a Rifondazione Comunista , non appena il dolore diventerà capacità di ricerca. Mille immagini mi si accavallano , si susseguono nella mente. Missionario in Bangladesh, l’occupazione, con i migranti, insieme al suo amato Dino Frisullo, dell’ex Pantanella a Roma.

E poi, sempre, ogni giorno, ogni ora , la sua Africa. Permessi di soggiorno, lotta alle galere etniche, l’aiuto ai popoli devastati dalle guerre imperiali e coloniali erano il suo modo di essere parlamentare europeo. Insegnava, con le pratiche, che la pace non è solo assenza di guerre, ma disarmo unilaterale, cooperazione da popolo a popolo. Che la nostra società o sarà meticcia o diventerà un bunker xenofobo. Vorrei, infine, ricordare un tratto ideale, di concezione politica, che abbiamo forse sottovalutato. Eugenio si teneva lontano dal politicismo, dalla politica “senza popolo”, dai “partiti senza società”. Il suo assillo era confederare i conflitti, ritrovare nelle pratiche sociali le forma della politica diffusa e parziale, ove le differenze sono, spesso, cultura. Aveva compreso in anticipo che le solitudini sociali, i vuoti dei “partiti senza società” delle sinistre contemporanee alimentano le voragini dei razzismi. Caro Eugenio, anche noi siamo ora più soli. Ma sereni , perché tu ci hai chiesto di esserlo.