A quattro anni dalla sua scomparsa, e a più di cinquanta dalla pubblicazione negli Stati Uniti del suo ultimo libro Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione), J.D. Salinger è tornato al centro della ribalta e dell’attenzione di lettori e critici. Einaudi (suo editore «storico») ha proposto in tascabile una nuova versione de Il giovane Holden, affidata a Matteo Colombo, uno tra i migliori traduttori in circolazione, che ha saputo lavorare con eleganza sulla sottile linea di confine tra innovazione e attenzione alla storia del testo in Italia, ottenendo un risultato di assoluta eccellenza. ISBN ha invece dato alle stampe, con la traduzione di Lorenzo Bertolucci e Paolo Caredda, la nuova, colossale e chiacchieratissima biografia di Salinger, firmata da due personaggi antiaccademici come David Shields (romanziere e saggista, già noto al pubblico italiano per il suo manifesto-collage Fame di realtà) e Shane Salerno (documentarista cinematografico, sceneggiatore, produttore e agente letterario). Intitolata Salinger La guerra privata di uno scrittore (pp. 764, euro 45,00), la biografia è l’esito di un lungo e complesso lavoro di ricerca, sfociato, in parallelo, nella realizzazione del documentario (firmato da Salerno) Salinger: il mistero del Giovane Holden, distribuito in Italia da Feltrinelli e proiettato lo scorso 20 maggio in un numero limitato di sale cinematografiche.

Negli Stati Uniti e in Inghilterra, il volume è stato accolto in modo sostanzialmente analogo e in qualche misura paradossale: tanto Sam Leith sul Guardian, quanto Michiko Kakutani sul New York Times esprimono una sorta di imbarazzata ammirazione per il gigantesco lavoro di ricerca e per la mole di materiali assemblati su quello che rimane – insieme a Pynchon – il più celebre «recluso» della letteratura americana. Segnalano, nella congerie di interviste e testimonianze, alcune novità decisamente significative, legate, per esempio, al ruolo svolto da Salinger come agente del controspionaggio americano sul teatro di guerra europeo; al suo primo matrimonio con la misteriosa Sylvia, una ragazza tedesca che, con ogni probabilità, era stata per alcuni anni informatrice della Gestapo, o al carteggio con Joyce Maynard, una delle adolescenti con le quali lo scrittore, già isolato nella sua villa di Cornish, in New Hampshire, intrattenne una relazione prima epistolare, poi sentimentale, già raccontata dalla stessa Maynard nella sua autobiografia At Home in the World. D’altro canto, quasi tutti i recensori si sono soffermati a più riprese sulla scarsa professionalità dei due autori e sulla loro tendenza a trascrivere informazioni e testimonianze dandole per verità assodata, senza procedere a quella verifica delle fonti e della loro attendibilità che costituisce il pane quotidiano per ogni aspirante biografo.

Soprattutto, a essere oggetto di critica è stata la chiave di lettura della vita e dell’opera di Salinger che Shields e Salerno espongono con estrema chiarezza nell’introduzione e nella conclusione del volume, nonché attraverso una serie di interventi mirati all’interno dei singoli capitoli, inserendosi nel flusso costante di voci e testimonianze e calandosi nel ruolo di commentatori a fianco di grandi nomi della cultura americana, da Mailer a Updike o Mary McCarthy. Secondo gli autori, la vita di Salinger sarebbe stata scandita da due eventi centrali: l’esperienza bellica, dalla quale l’autore sarebbe uscito emotivamente distrutto, ma anche capace di trasporre le atrocità cui aveva assistito nella rabbia e nella rivolta di Holden Caulfield e dei protagonisti dei Nove racconti, e l’adesione alla religione vedanta, che gli avrebbe consentito di superare i traumi del passato e riconciliarsi con se stesso, uccidendo però la sua arte. Nella lettura di Shields e Salerno, Il giovane Holden diventa il vero romanzo di guerra, più ancora degli acclamati Il nudo e il morto di Mailer o Da qui all’eternità di Jones. O meglio, diventa il romanzo sul modo in cui l’esperienza bellica ha trasformato una generazione intera e ne ha veicolato la rabbia verso un mondo adulto «fasullo» e normalizzato che avrebbe trovato la sua piena espressione nel maccartismo e nella placida cultura suburbana dei tranquillized fifties. I Nove racconti si collocherebbero a fianco del più celebre romanzo, replicandone la freschezza di voce e il disincanto soprattutto in «Un giorno ideale per i pescibanana» e in «Per Esmè, con amore e squallore», mentre le opere successive di Salinger, spostando il focus sulla famiglia Glass, segnerebbero il progressivo allontanamento dalla vita e dall’invenzione narrativa nel nome di un moralismo sermoneggiante che raggiunge il culmine in «Hapworth 16, 1924», il suo ultimo racconto pubblicato sul «New Yorker»: un lungo, sentenzioso monologo di Seymour Glass all’età di sette anni, salutato ora come un capolavoro, ora – e più spesso – come il segno di una decadenza ormai irreversibile.

Si tratta di una tesi di fondo radicale ma non priva di fascino, cui gli autori subordinano la disposizione stessa del materiale biografico. L’attrazione di Salinger per le adolescenti viene esasperata attraverso una lunga sequela di esempi che, cumulati, prefigurano un vero e proprio modus operandi, ai limiti della patologia, attribuito da Shields e Salerno allo stress post-traumatico derivante dalle esperienze di guerra e al rifiuto di riconoscere, in sé come negli altri, l’avvenuto passaggio alla dimensione adulta. La stessa ribellione adolescenziale di Holden Caulfield sarebbe figlia diretta della discriminante bellica – più che dell’esistenzialismo imperante o di una specifica tradizione letteraria tutta americana, da Huck Finn a Nick Adams –, e addirittura recherebbe in sé una componente di violenza repressa che, in una qualche misura, spiega l’adozione del romanzo come modello di vita e spiegazione del proprio crimine da parte di una serie di celebri assassini: da Mark David Chapman, il carnefice di John Lennon, a John Hinckley, l’attentatore solitario che ferì quasi a morte Ronald Reagan.

L’adolescenza bloccata costituisce, per Shields e Salerno, la cifra costante che connette e giustifica tutti i passaggi della vita di Salinger e ne motiva la crudeltà gratuita nei confronti delle tante ragazze corteggiate e abbandonate, o della seconda moglie, Claire Douglas, e della figlia Margaret. La stessa religione vedanta sembra a tratti adottata solo per la possibilità che essa offre di raggiungere un progressivo isolamento dalla vita pubblica e dalle responsabilità nei confronti della dimensione famigliare, sentimentale e sessuale. Possibilità, quella della fuga, al contempo perseguita e ripetutamente tradita, se è vero, come sostengono i due autori, che Salinger avrebbe mantenuto molti più contatti con il mondo esterno di quanto sia dato credere, sfruttando il proprio stesso eremitaggio come mezzo per accrescere la sua fama.

Salinger: la guerra privata di uno scrittore ci offre insomma un ritratto d’artista tutt’altro che lusinghiero, e ha il merito di costruire un ferreo collegamento tra le miserie e le meschinità – piccole e grandi – dell’uomo, il suo fascino manipolatore e la sua arte a tratti irresistibile. Questa strana, gigantesca, ondivaga biografia si chiude con la rivelazione delle rivelazioni: per tutto il periodo trascorso rinchiuso nella sua tana in New Hampshire Salinger avrebbe continuato a scrivere, e avrebbe autorizzato, subito prima di morire e dopo aver istituito, nel 2008, il Fondo letterario che porta il suo nome, la pubblicazione di sue nuove opere. Si tratterebbe, secondo informazioni «fornite, documentate e verificate da due fonti separate e indipendenti», di cinque opere: due raccolte contenenti tutti i racconti incentrati sulla famiglia Glass e sulla famiglia Caulfield, con molto materiale inedito; un «manuale» di vedanta, un romanzo d’amore ambientato durante la Seconda guerra mondiale e una novella sotto forma di diario compilato da un agente del controspionaggio. Potrebbe essere questa la rivelazione più grande del libro, e poco importa che contrasti stranamente con l’idea – sostenuta dagli autori – che le ultime opere di Salinger recassero i segni di un declino irreversibile verso l’afasia. Il Fondo Salinger non ha confermato né smentito l’ipotesi di nuove opere: non resta dunque che attendere quello che potrebbe rivelarsi un evento editoriale irripetibile o un clamoroso fuoco di paglia.