Nell’udienza pubblica del prossimo 11 febbraio, alla Corte costituzionale si discuterà la questione di legittimità della legge Fini Giovanardi sulle droghe, sollevata nel giugno dello scorso anno dalla Cassazione con particolare riferimento all’inasprimento delle pene per le cosiddette droghe leggere.

Come si sa, la suddetta legge è stata approvata, nel febbraio 2006, inserendo nel decreto-legge sulle Olimpiadi invernali di Torino, una riforma repressiva del vecchio testo unico sugli stupefacenti. Si tratta dello stravolgimento delle procedure parlamentari, che in altre occasioni la Consulta ha ripetutamente bocciato, come ha recentemente ricordato anche il presidente Napolitano a proposito del cosiddetto decreto salva-Roma, che il governo è stato costretto a ritirare.

La questione è, dunque, palesemente fondata e la Corte costituzionale, se resterà fedele alla sua consolidata giurisprudenza, non potrà fare a meno di cancellare questa legge illegittima e ingiusta.

È sconcertante, perciò, che il Presidente del Consiglio, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, si sia costituito in giudizio per chiedere alla Consulta di rigettare la questione.

Sul piano politico è sconcertante che Enrico Letta chieda di salvare una legge che, nel corso del dibattito parlamentare sulla sua approvazione, fu definita dallo schieramento politico al quale apparteneva e ancora appartiene, una «vergogna istituzionale», che ha segnato «il culmine della volgarità istituzionale e del disprezzo del Parlamento».

Oggi, dopo otto anni di sperimentata iniquità della Fini Giovanardi, il Presidente del Consiglio non esita a tesserne l’elogio, affermando che lo spietato inasprimento del trattamento penale della cannabis risponde «ad una esigenza di straordinaria urgenza e necessità di disciplinare una materia ritenuta di fondamentale importanza ai fini della tutela della salute individuale e collettiva, nonché ai fini della salvaguardia della sicurezza pubblica, attraverso il rigoroso e fermo contrasto al traffico ed allo spaccio degli stupefacenti».

Sono gli stessi toni e gli stessi vieti fantasmi evocati dalla peggiore propaganda della destra repressiva. Duole, sul piano politico, che il Presidente del Consiglio li faccia propri al cospetto della Corte costituzionale.

Non meno sconcertante è la sbalorditiva pochezza degli argomenti giuridici, il principale dei quali è il seguente: la questione va dichiarata inammissibile perché la Cassazione non ha considerato che la pena inflitta all’imputato – accusato del trasporto di circa quattro chili di hashish – avrebbe potuto essere diminuita applicando l’attenuante del «fatto di lieve entità», senza bisogno di scomodare la Consulta.

Ebbene, tutti sanno che la Cassazione non può applicare attenuanti, ma solo controllare – come puntualmente ha fatto nel nostro caso – se i giudici di merito le hanno negate legittimamente. L’Avvocatura dello Stato, che rappresenta il Presidente del Consiglio in carica, non dovrebbe ignorarlo, così come non dovrebbe ignorare che le nostre galere sono piene di migliaia di detenuti, cui l’attenuante viene negata dai nostri tribunali per la detenzione di quantitativi di cannabis inferiore anche cento volte a quello che ha indotto la Cassazione ad inviare il processo alla Consulta.

In conclusione, l’intervento del Presidente del Consiglio a difesa della Fini Giovanardi è un atto politicamente e giuridicamente insensato. Fino all’11 febbraio c’è tempo per un atto di resipiscenza. Non sarebbe male se quella parte della sinistra che dentro e fuori del Parlamento si mostra sensibile al tema facesse sentire la propria voce.