È difficile parlare della vicenda Alitalia senza utilizzare i toni della farsa. Già i due precedenti «salvataggi», con i governi Berlusconi e Renzi, si sono chiusi con fallimenti. Non sappiamo bene la composizione esatta della nuova compagnia di giro, ma si possono fare ipotesi plausibili; siamo in ogni caso quasi sicuri che alla fine, fra qualche tempo, assisteremo comunque ad un nuovo flop. E questo sia per le deboli premesse del nuovo piano, che per le caratteristiche dei nuovi possibili attori in commedia. Per quanto riguarda la prima questione, le indicazioni fornite dal nuovo governo non lasciavano già presagire nulla di buono. Si sarebbe in effetti dovuto difendere l’italianità della nuova compagnia, comunque non svenderla, nonché tutelare l’occupazione.

Ora, tutti i dati indicano che tali obiettivi, nella difficile situazione del mercato ed in quella pesante dell’azienda, appaiono molto complicati da raggiungere. Ma essi sono stati rafforzati dai toni ottimistici diffusi nell’ultimo periodo. In realtà, c’è stato qualche modesto incremento nel numero dei passeggeri e nel fatturato e qualche ridotto miglioramento dei conti; la perdita è passata dai 616 milioni di euro del 2017 ai 512 del 2018, ma il pareggio di bilancio è lontano milioni di chilometri. La Lufthansa si è a suo tempo dichiarata disposta a occuparsi della questione, ma a prezzo di essere la padrona del gioco, senza attori pubblici davanti ai piedi, con un piano che ridurrebbe il numero degli aerei da far volare e il numero degli addetti. Negli ultimi giorni sembra che essa si sia mostrata disponibile a migliorare l’offerta, mentre ci sembra l’unica proposta seria sino ad oggi emersa per salvare il salvabile. Naturalmente, poi il governo dovrebbe chiudere la trattativa e soprattutto risolvere la questione degli esuberi.

Noi siamo certamente a favore dell’intervento anche ampio del settore pubblico nell’economia, ma anche esso non può fare sempre miracoli.

Si sta comunque portando avanti un piano diverso. La maggioranza del capitale sarà in mano pubblica, con le Ferrovie dello Stato al 35% circa e il Ministero del Tesoro al 15%.

Dopo di che si è parlato dell’entrata in scena potenziale di diversi attori:

1) l’americana Delta, con il 10-15 % del capitale; non si capisce peraltro bene cosa ci stia a fare in questa partita. Si tratta infatti di una concorrente della stessa Alitalia sulle rotte atlantiche; inoltre, essa fa parte, con la stessa Alitalia, dello Sky-Team, in cui è presente anche Air France, compagnia rivale della Lufthansa;

2) Carlo Toto, che a suo tempo ha partecipato alla formazione del primo tentativo di salvataggio e la cui società affittava degli aerei alla compagnia a costi ritenuti elevati; precedentemente, aveva ceduto la sua società aerea, l’Air One, alla stessa Alitalia, a prezzi parecchio salati, risultando alla fine il solo vincitore di quella partita; pare, con pendenze con l’Anas, controllata dalle Ferrovie;

3) Claudio Lotito, imprenditore, noto soprattutto come presidente della Lazio e per aver avuto diverse questioni con la giustizia. Potenzialmente dubbia la sua solidità finanziaria;

4) German Eframovich, imprenditore abbastanza chiacchierato, che controlla una società aerea sudamericana, la Avianca. Pare abbia problemi sia in Brasile che in Argentina. Ma, dalle ultime notizie, ad entrare nell’iniziativa sarebbe forse alla fine la famiglia Benetton; nel caso, la vicenda assumerebbe veramente i toni della farsa. La famiglia ha già partecipato ad ambedue i precedenti tentativi di salvataggio, con non molto successo; da qualche giorno, da una parte si parla della revoca delle concessioni autostradali, mentre dall’altra si implora la sua partecipazione al progetto.

Alla fine, da quello che si capisce dall’ultima ipotesi, ai soci pubblici si dovrebbero affiancare la Delta con il 10% del capitale e i Benetton con il 40% (o, in alternativa, alla disperata, si avrebbe un mix a piacere di Toto, Lotito, Abramovich); e il cerchio finalmente si chiuderebbe. Ancora nessuno ha parlato degli esuberi. Ma se questa è la prospettiva, speriamo soltanto di non dover scrivere troppo presto un articolo che racconti il prematuro fallimento dell’ennesimo brillante progetto.