Nonostante la conferma dell’arrivo di James Hogan a Roma, l’accordo fra Alitalia ed Etihad non sarà firmato oggi. “Non è previsto – fa sapere Gabriele Del Torchio – non è in agenda”. Eppure per tutta la settimana scorsa il governo aveva battuto la grancassa, annunciando in lungo e in largo che era imperativo chiudere la trattativa sui 2.251 “esuberi strutturali” dell’ex compagnia di bandiera, per permettere al numero uno di Etihad di atterrare nella capitale con un quadro già definito in vista del matrimonio con gli arabi di Abu Dhabi.

Al momento invece tutti i tavoli restano aperti. Da quello sui tagli al lavoro, vista la mancata firma di Cgil e Usb alla proposta governativa che obbliga 1.635 addetti Alitalia alla mobilità immediata, alla trattativa con le banche creditrici e anche azioniste (Intesa San Paolo e Unicredit) della compagnia. Chiamate a cancellare centinaia di milioni di crediti dai loro bilanci, per dar corso ai desiderata di Etihad. Nella serata di ieri Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, al termine di un incontro fiume sulla ristrutturazione del debito, ha spiegato che l’intesa fra le banche creditrici è unanime. Ma non ha voluto dire altro: “Non posso anticipare quello che dirà Alitalia – ha risposto a chi gli chiedeva se l’accordo ci fosse – le cose vanno avanti senza sorprese. Sono ancora in discussione, parlerà Alitalia”

Nel mentre Maurizio Lupi continuava a professare ottimismo: “Nessuno ha più alibi, tutti stanno facendo la loro parte, tutti credono nel progetto”’. Il ministro dei trasporti ha poi ribadito che l’accordo di sabato sugli esuberi è valido anche senza la firma dei due sindacati, in un caso apertamente dissenzienti (l’Usb) e nell’altro – la Cgil – in pausa di riflessione almeno fino a domani. Per certo sul sito di informazione sindacale “rassegna.it”, legato a doppio filo al sindacato di Corso Italia, già domenica sono comparse due riflessioni critiche su quanto accaduto il giorno prima, nelle pieghe della trattativa sugli esuberi.

Netto il giudizio negativo del segretario generale della Filt Cgil: “E’ un accordo sbagliato, lesivo dei diritti – ha osservato Franco Nasso – perché fin dall’inizio della trattativa abbiamo proposto l’utilizzo della cassa integrazione in alternativa alla mobilità. Una cosa possibile ma rifiutata dall’azienda. Alla luce di quello che è successo, è chiaro che tutto era in mano ad Etihad, assente dalle riunione, ma rispetto alla quale gli attuali vertici di Alitalia avevano dato affidamenti talmente vincolanti da non avere alcuno spazio di manovra nel confronto sindacale. I contenuti chiesti dalla compagnia emiratina, che sono nell’accordo separato, esercitano una grave limitazione dei diritti dei lavoratori, che si trovano davanti alla prospettiva certa del licenziamento, attraverso la collocazione immediata in mobilità”.

Da Franco Nasso anche una esplicita risposta all’ottimismo del governo: “Al ministro Lupi vorremmo ricordare che le nostre obiezioni riguardano i contenuti dell’intesa, in particolare l’incertezza per coloro ai quali si promette un altro impiego, i cosiddetti ‘riprotetti’, e soprattutto l’angosciosa prospettiva della mobilità e del licenziamento per tutti gli altri. Per giunta la prova di forza presenta anche profili di dubbia legittimità, che l’azienda dovrà affrontare”. A questo riguardo, anche il segretario confederale Fabrizio Solari ha osservato: “L’utilizzo della cigs era sul tavolo, fino a quando si è preferito adottare un metodo estraneo alla prassi corrente, forzando l’utilizzo delle stesse norme di legge. Si può invocare, come è stato fatto, lo stato di necessità. Tuttavia questo configura un gravissimo precedente che avrebbe dovuto comportare un supplemento di riflessione da parte di tutti, e che certo non aiuta la positiva conclusione della vertenza”.

Proprio lo “stato di necessità” ricordato da Solari sembra essere la pietra angolare di tutto l’affaire Alitalia-Etihad. A partire dal profondo rosso segnato dalla compagnia aerea tricolore anche nella versione “patriottica” targata Cai (1.500 milioni di debiti in sei anni), per finire con il bisogno del governo Renzi di chiudere una volta per tutte, prendendosi i meriti, il caso Alitalia.