Arriva l’aumento di capitale, entrano le Poste, il governo Letta esulta in attesa del vero colpo: vendere l’Alitalia agli arabi di Etihad. Ma c’è una condizione preliminare alla cessione del 49 per cento della compagnia di Stato: che essa faccia prima il lavoro sporco. Devono andar via altre 1.900 persone per contenere i costi e vanno riviste le tratte, come prevede il piano industriale già illustrato ai sindacati confederali. È il regalo che rischia di agitare il Natale dei lavoratori dell’Alitalia, quelli rimasti dopo il gigantesco taglio dei «capitani coraggiosi» al tempo del governo Berlusconi. Cinque anni dopo, ci risiamo. Con la differenza che allora si parlava di cedere la società ai francesi di Air France, e oggi si affacciano invece gli arabi.
Ieri, al termine del cda, l’amministratore delegato Gabriele Del Torchio ha annunciato: «L’aumento di capitale è finito bene – ha detto – Siamo molto contenti, concludiamo l’anno con un risultato raggiunto e inizieremo il prossimo con grande rilancio. Speriamo che il 2014 sia l’anno del rilancio per Alitalia». Nell’azionariato entrano le Poste, con 75 milioni, Unicredit e Odissea, la società del presidente dell’Atalanta Antonio Percassi. La nuova mappa degli azionisti scaturirà dalla sottoscrizione dell’aumento e della conversione del prestito obbligazionario da 95 milioni emesso nel febbraio del 2013. Air France (che era al 25% e ha già dichiarato di voler convertire il prestito) si ritroverà con una partecipazione ridotta al 6%, non avendo sottoscritto l’aumento. Intesa Sanpaolo deterrà invece il numero più alto di quote, attorno al 22%, dopo la sottoscrizione dell’inoptato per 50 milioni, Poste Italiane avrà il 20%, Unicredit, che ha garantito altri 50 milioni per l’inoptato, arriverà al 16 per cento. Gli altri soci hanno versato 125 milioni complessivi: Percassi entra con 15 milioni. Atlantia e Colaninno dovrebbero attestarsi rispettivamente all’8 e al 7%.
Ma il convitato di pietra sono gli arabi di Etihad. Del Torchio non ha voluto commentare: «Ci sono diverse ipotesi in campo», ha detto. Ma ieri La Repubblica ha confermato l’interesse di Etihad: la compagnia di Abu Dhabi dovrebbe entrare con 300-350 milioni e arrivare al 49 circa. Prima, però, dovranno essere ridotti i costi e riviste le rotte: dovranno partire 1.900 dipendenti, per un risparmio di 295 milioni, e saranno messi a terra undici aerei di medio raggio. Le sinergie prevedono anche l’uso in comune dei piloti, mentre si studierebbero alcune rotte da potenziare, in particolare verso America (sia Nord che Sud) e Africa. Ma vista la natura geografica di Abu Dhabi, lo scalo dovrebbe diventare un trampolino verso Medio Oriente, India, Cina e Giappone con nuove destinazioni, da Mumbai a Seul.
Palazzo Chigi ha commentato attraverso un comunicato: «Il governo esprime soddisfazione per il completamento dell’aumento di capitale di Alitalia. Alitalia è un asset strategico e assicurare ai cittadini italiani e al sistema economico la garanzia di collegamenti aerei domestici, europei e intercontinentali efficienti ed adeguati per la crescita del Paese rimane obiettivo fondamentale di servizio pubblico. Il governo guarda inoltre con interesse al lavoro in corso per integrare Alitalia in un network globale che dia alla società concrete prospettive di sviluppo».
I sindacati, intanto, guardano a Etihad come una chance importante di rilancio per la compagnia. «È una chance importantissima per poter passare da uno scenario di profonda difficoltà ad una prospettiva di rilancio sia organizzativo che occupazionale», afferma Giovanni Luciano della Fit Cisl, che offre la disponibilità del sindacato a fare la sua parte. Mauro Rossi della Filt Cgil osserva che «l’eventuale chiusura positiva di una intesa con un partner industriale rafforzerebbe la compagnia italiana riferimento di tutto il settore». Per Claudio Tarlazzi della Uiltrasporti l’ingresso di Etihad sarebbe «una soluzione per il futuro della compagnia».