Ieri sera è scaduto il termine per la presentazione delle offerte da parte dei possibili e comunque poco entusiasti pretendenti dell’Alitalia e le notizie in merito non sembrano essere molto confortanti.
Nell’ultimo periodo sono entrati in crisi altri due vettori europei, la Monarch e Air Berlin.

Se confrontiamo il fallimento della nostra cosiddetta compagnia di bandiera con quello di Air Berlin, notiamo come in questo ultimo caso il problema sia stato risolto in un paio di settimane, anche se forse non mancherà qualche strascico. Da noi, nel caso dell’Alitalia come in quello dell’Ilva, la storia si trascina ormai da moltissimi anni e rischia di durare ancora per molti.
Il nostro sistema istituzionale è sostanzialmente incapace di risolvere i grandi problemi man mano che si presentano e che sono poi spesso provocati dallo stesso sistema e cui alla fine dovrebbe rimediare lo straniero, indiano o tedesco che sia.

Ora il governo ha deciso di prorogare al 30 aprile 2018, dal 5 novembre 2017 precedente, il termine entro il quale i commissari dovranno decidere a chi cedere la nostra bella società, mentre esso ha anche stabilito di dare in prestito altri 300 milioni alla stessa, oltre ai 600 di qualche tempo fa, nonché di spostare la data del rimborso di tutta la somma al 30 settembre del 2018. Si evita così che la verità delle cose sia rivelata prima delle elezioni, visto che gli acquirenti, oltre ad imporre uno «spezzatino», chiedono un drastico taglio dei livelli della manodopera, nonché degli stipendi dei superstiti e questo potrebbe disturbare i risultati elettorali del Pd. D’altro canto siamo ancora in trepidante attesa del piano annunciato da Renzi a maggio.

La crisi del settore in Europa è determinata da vari fattori. Intanto il mercato del nostro continente appare troppo frammentato; sembra (la fonte per i dati è il Financial Times) siano in vita ancora ben 217 diverse compagnie; negli Stati Uniti la prime sei controllano il 90% del mercato, mentre in Europa soltanto il 43%.

L’altro fattore di crisi è rappresentato dalla presenza sempre più invadente delle compagnie low-cost, che nel 2017 dovrebbero ottenere una quota del 43% del mercato del continente.
In tale quadro già difficile si inserisce la crisi specifica dell’Alitalia.

Lasciata in mano alla politica più deteriore per decine di anni, la società era protetta dalle barriere interne, che coprivano le sue grandi inefficienze; ma quando le barriere sono cadute ed è anche entrata a regime l’alta velocità ferroviaria, essa si è ritrovata fuori mercato. Il resto lo hanno fatto i vari piani cosiddetti di salvataggio, da quello di Berlusconi a quello di Renzi, uniti nella lotta, giocando con i destini delle persone e con i soldi dei contribuenti.

Così ancora oggi la società si ritrova con costi di acquisto dei carburanti molto onerosi, con quelli di leasing degli aerei troppo elevati, con una flotta poco moderna, infine con il mix dei velivoli e con una strategia troppo sbilanciati verso il breve raggio.

Oggi a nessuno, tranne che ai lavoratori, interessa che la compagnia resti in vita e non c’è alcun vettore che voglia rilevarla per intero, nonostante gli ipocriti auspici dei politici nostrani.
In Europa sopravviveranno alla fine, oltre ad alcune piccole compagnie specializzate, solo tre grandi entità, Air France-Klm, Iag, Lufthansa. La nostra società dovrebbe finire almeno parzialmente dentro quest’ultimo gruppo; un altro pezzo andrà forse a Easyjet e i servizi a terra ancora ad un altro operatore. Vedremo comunque dopo le elezioni.

Sulla base anche dei risultati non cattivi dell’ultima campagna estiva c’è chi spera che l’Alitalia possa anche farcela da sola; ma si tratta di un’illusione. Sembra ormai necessario, per sopravvivere, operare su scala globale e sono anche inevitabili grandi investimenti. Da noi il treno è già passato da un pezzo.

Bisogna che il governo si concentri, una volta tanto, su di un piano credibile per assicurare una protezione a tutti i lavoratori coinvolti, comprese le molte migliaia che non troveranno comunque collocazione nel nuovo assetto, qualunque esso sia. Non resta ormai altro da fare.