Peggio dei «capitani coraggiosi» di Berlusconi o dell’Etihad sponsorizzata da Renzi sarà difficile fare. L’avventura della Nuova Alitalia – questo il nome papabile per la newCo con cui Di Maio punta a far rivivere una compagnia di bandiera – a trazione pubblica si annuncia però assai complicata e ancora avvolta da una fitta nebbia prima del decollo.
Messi da parte i contrasti con Tria, il paragone con Ilva citato dal vicepremier e biministro non tiene. La differenza principale è che per il gruppo siderurgico si era mosso il più grande colosso mondiale (Arcelor Mittal) mentre per Alitalia le manifestazioni di interesse di Lufthansa e EasyJet – da buoni avvoltoi privati – erano legate alla condizione di una pre-ristrutturazione. Al momento dunque il governo non ha nessun partner industriale interessato ad entrare, se non le voci che parlano dell’americana Delta Airlines.
Non si può invece considerare tale Ferrovie dello Stato: in nessun paese del mondo chi si occupa di treni è mai entrato nel mondo delle compagnie aeree. Allo stesso modo le voci che accreditano Boeing (fu il ministro Toninelli in settembre a parlarne) di un interesse devono considerare l’azienda di Seattle come un partner tecnico che può fornire aerei, manutenzioni e forse fondi ma di certo non è un attore nel complicato scenario globale delle compagnie. Mentre le voci su interessi cinesi (su cui punta il sottosegretario Geraci) sono state smentite.
Ecco dunque che le rassicurazioni di Di Maio di venerdì restano tali senza alcuna reale controprova. Se la volontà del governo giallo-verde (la Lega è sulla stessa posizione) di rilanciare Alitalia non è in dubbio, il piano industriale per realizzarla è un foglio bianco. Già ieri sono arrivate le critiche di chi – giustamente – ha il timore che i soldi investiti da Fs in Alitalia vadano a scapito dei necessari investimenti sui treni per i pendolari.
Le cifre necessarie infatti sono rilevanti. Ai sindacati che parlavano di circa 1,5-2 miliardi di ricapitalizzazione, Di Maio non ha obiettato. I soldi andranno nella newCo, non a ricapitalizzare l’attuale società guidata dai commissari, ma la cifra è la stessa. Convertire i 900 milioni del prestito ponte in «equity della newCo» significa solo iniziare. La soglia di intervento diretto dello Stato è stata non a caso fissata nel 15 per cento: lo stesso livello che ha il governo francese in AirFrance, che hanno governo svedese e danese in Sas, mentre la Tap portoghese è stata rinazionalizzata dal governo socialista al 50 per cento.
Manca tutto il resto e non è pensabile che lo metta solamente Fs. Di Maio ha parlato di altre aziende a partecipazione pubblica ma i 75 milioni di Poste (proprietaria di qualche aereo con la controllata Mistral) a fine 2013 è un precedente assai negativo: soldi buttati.
In questo quadro il giudizio della commissione europea diventa il passaggio più indolore: con buona pace dei liberisti di casa nostra, per Bruxelles è indifferente se la proprietà di Alitalia sia pubblica o privata.
La prima mossa del piano avverrà domani con il tavolo per il rinnovo della cassa integrazione: Di Maio ha rassicurato sulla copertura del Fondo anche per il 2019 e i commissari puntano ad allungare la Cigs a rotazione per 1.570 unità equivalenti fino al 23 marzo 2019. Non proprio un buon viatico.
I sindacati però, con parecchi distinguo, sono tutti favorevoli alla svolta pubblica. I più contenti sono Usb e Cub: «È caduta l’ipocrisia della falsa crisi del trasporto aereo con cui si tagliavano salari e diritti dei lavoratori, siamo davanti ad una svolta radicale da noi sempre auspicata, ma il quadro è ancora tutto da delineare e tocca stare guardinghi», spiega Antonio Amoroso, segretario nazionale Cub trasporti.