Un mese di autonomia e poi Alitalia sarà costretta «a mettere gli aerei a terra». E sarà messa in liquidazione, provocando il licenziamento immediato di 11 mila dipendenti che perderanno anche la cassa integrazione, entrando subito in Naspi.

È l’effetto dello stallo nella trattativa con la commissione Europea per il decollo di Ita, la nuova compagnia che dovrebbe sostituire la vecchia Alitalia, comprando per prima cosa gli aeromobili, dando ossigeno alle disastrate casse della azienda in amministrazione controllata.

Chi ha parlato con il commissario di Alitalia Alessandro Leogrande lo descrive «disperato». Lasciato solo dal governo Draghi (totalmente silente sul dossier), senza nessuna interlocuzione con i ministri competenti – oltre a Giancarlo Giorgetti del Mise, Daniele Franco del Mef e Enrico Giovannini dei trasporti – che danno sempre più l’idea di non sapere che linea seguire.

E sì che solo il 16 marzo – appena due settimane fa – Giorgetti aveva giudicato «positivo» il secondo incontro con la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager.

Ora invece la prossima settimana è prevista la riunione decisiva per un accordo sulle draconiane proposte europee per il via libera a Ita: rinuncia a gran parte degli slot di Malpensa (il secondo hub dopo Fiumucino), partire con un numero di aeromobili 43 pari a poco più di un terzo degli attuali, bando di gara separato per handling e manutenzione (3 mila dipendenti). Così gli esuberi sarebbero ben 7 mila.

CONDIZIONI DA TUTTI giudicate mlto simili alla liquidazione per Alitalia. Anche perché alla vecchia compagnia rimarrebbero un numero di aeromobili senza poterli farli volare – la licenza passerebbe a Ita – con penali da pagare che Leogrande non potrebbe onorare.

Ora può contare solo sull’erogazione dei residui 24,7 milioni di indennizzi per i danni Covid del 2020, ultima tranche autorizzata da Bruxelles, non ancora nella disponibilità dei commissari. Giovedì i dipendenti hanno ricevuto il 50% degli stipendi di marzo, in ritardo di sei giorni. Assegni pari al 50%: mancano l’anticipo della Cigs base che da marzo viene versata dall’Inps (fino a circa mille euro al mese) e l’integrazione all’80% degli stipendi effettivi pre-Covid, anch’essa versata dall’Inps. Questo passaggio fa risparmiare l’azienda da 18 milioni a 12 milioni di costo stipendi al mense, ma Alitalia non aveva nemmeno questi a marzo. Quando riceverà i 24,7 milioni di indennizzi dovrà pagare anche le spese necessarie per far volare gli aerei: carburante, aeroporti (ha debiti per decine di milioni con Aeroporti di Roma), le tasse di navigazione, leasing su aerei.

D’ALTRA PARTE ITA PER ORA ha sì un capitale da tre miliardi di euro ma è una società di carta, con 39 dipendenti, nove consiglieri nel cda spartiti politicamente fra Pd e M5s e parecchie consulenze.

Ieri intanto all’aeroporto di Fiumicino si è tenuto un presidio spontaneo di un centinaio di lavoratori Alitalia, davanti all’ingresso del Terminal 3. «Siamo a qui a protestare perché da ieri, improvvisamente, ci hanno riferito che la compagnia Alitalia ha finito i soldi: è l’ultimo atto di un paese sovrano che già è stato de-industrializzato e in cui ora stanno togliendo anche il proprio “biglietto da visita”. Un paese a vocazione turistica che verrà privato della propria compagnia», dice Fabio Frati, ex sindacalista e lavoratore Alitalia.

FRA I LAVORATORI IN PRESIDIO numerosi impiegati, in divisa, mostravano dei vistosi cartelli con sopra scritto a mano «Io sono un privilegiato, stipendio marzo 436 euro». «È davvero una vergogna quanto sta accadendo con Alitalia, su cui sono riempiti la bocca tutti i partiti europeisti che ci hanno raccontato menzogne, ovvero che “mamma” Europa avrebbe pensato a noi ed è l’esatto contrario come abbiamo visto durante la pandemia – riprende a parlare l’ex lavoratore della compagnia, Fabio Frati – E anche quelle forze che si chiamavano “sovraniste” hanno dimostrato di essere dei “sovranisti in ginocchio” – dice in riferimento della Lega – perché stanno consegnando un gioiello di questo Paese alla concorrenza. Noi andremo comunque avanti fino alla fine», promettono i lavoratori.

Molto preoccupati Filt Cgil, Fit Cisl e Uilt. Di «stillicidio» parla la Cub che martedì terrà una assemblea a Fiumicino.