E così, alla fine, gli arabi di Etihad hanno fatto il “miracolo”. Sono riusciti a prendersi il 49% di Alitalia, salvandola dal baratro. Ma per aver raggiunto l’ambito obiettivo, un matrimonio con un’azienda ormai decotta ma blasonata, la giovane e rampante compagnia di Abu Dhabi – che nata nel 2003, vanta la più rapida crescita nella storia dell’aviazione mondiale – non deve tutto ai petrodollari.

E no, deve tanto alla nostra «italianità». All’operazione patriottica voluta nel 2008 dall’allora premier, Silvio Berlusconi, che mandò a monte le nozze con Air France, per creare una nuova società, la Cai, che non aveva alcun senso di mercato.

Senza un serio piano industriale, messa su per fini propagandistici, con enormi costi per il pubblico: mentre se si fosse realizzata la fusione con Air France (che offriva sei volte di più) avremmo evitato sprechi, e soprattutto 2.251 esuberi.

Della partita dei “capitani coraggiosi”, faceva parte anche Corrado Passera, advisor per Intesa, e che oggi, con un così prestigioso medagliere, vorrebbe rifondare la politica italiana.

E così, finalmente, ieri mattina gli arabi hanno detto sì, accettando di acquistare il 49% della compagnia italiana. Ha contribuito certamente l’intesa raggiunta con le banche, che hanno concesso di ristrutturare il debito. Inoltre, il governo ha dato l’ok per realizzare le innovazioni infrastrutturali e di mercato chieste dai nuovi soci.

Resta un unico “scoglio” (se così lo si può definire): il futuro di 2.251 persone. Dipendenti che la nuova proprietà vorrebbe, con il sostegno della mobilità, licenziare, e che invece i sindacati sono decisi a difendere.

Ma partiamo dall’accordo con le banche: lo schema su cui si è lavorato prevede la rinegoziazione di 565 milioni di debito, con la cancellazione di un terzo e la conversione in azioni (con un convertendo a 2-3 anni) dei restanti due terzi. Le banche creditrici di Alitalia, Intesa, Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio, hanno raggiunto una posizione condivisa, e quindi l’ok definitivo (ieri ancora non del tutto acquisito) dovrebbe essere vicino.

Assicurazioni sufficienti sono state fornite anche su un altro fronte, quello delle infrastrutture, rispetto alle richieste avanzate da Etihad: il superamento del decreto Bersani che limita gli slot per Linate, stop ai vantaggi competitivi per le low cost e migliori collegamenti ferroviari con l’aeroporto di Fiumicino.

Sia dal fronte del Pd, che da quello del ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, sono arrivate lodi per l’accordo: «Ieri sera (l’altroieri per chi legge, ndr) c’è stato un importante incontro con le banche e con i principali azionisti – ha spiegato il ministro – È sempre più chiaro che questo matrimonio s’ha da fare, perché si tratta di un forte investimento industriale con concrete prospettive di sviluppo per la nostra compagnia». «Presto – ha infine aggiunto Lupi, riferendosi alla vertenza che riguarda il personale – con il ministro del Lavoro Poletti incontreremo i sindacati per fare il punto sulla vicenda esuberi. Sono sempre stato e continuo a essere fiducioso nel buon esito dell’operazione».

Ma a raffreddare gli entusiasmi ci pensa il sindacato, che pone un netto stop ai facili ottimismi sul “nodo” esuberi: «Tra “penultimatum” e finti annunci su accordo siamo ancora a zero», scrive Mauro Rossi, della Filt Cgil, sul suo profilo Twitter. E ribadisce il «no ai licenziamenti».

«Il sindacato non è un notaio, chiamato soltanto a sancire decisioni assunte altrove – dice l’Usb – Se si dovesse procedere senza un confronto con le parti sociali nel momento in cui si parla di licenziamenti e di tagli indiscriminati del costo del lavoro, il governo e l’azienda dovranno assumerne tutta la responsabilità». L’Usb ricorda che il settore aereo è già stato martoriato da «politiche dissennate, fondate solo sulle ristrutturazioni selvagge, che hanno prodotto 12 mila esuberi tradotti in cig e licenziamenti».

Raffaele Bonanni, della Cisl, è un po’ più sfumato: «L’accordo è un fatto molto positivo – esordisce – Ma un sindacato che si rispetti deve pensare a salvare l’intera azienda, mantenere al lavoro il maggior numero di persone, compreso l’indotto e ovviamente limitare al massimo gli esuberi». «Un’azienda che può diventare un grande colosso – conclude Bonanni – può essere in grado di riassorbire presto eventuali lavoratori al momento non utilizzati. Usiamo gli ammortizzatori».

Una protesta è venuta dalla concorrente tedesca, Lufthansa: «È vitale che la Ue e le autorità dei Paesi membri pongano fine alla concorrenza sleale da parte dell’aviazione sussidiata dallo Stato e proibisca l’aggiramento delle regole europee sui sussidi».

Alitalia ha un organico di 13.721 dipendenti (contro i circa 19 mila di Etihad), ma il piano di Etihad punta a ridurli a 11.470 dopo gli esuberi. Alitalia ha una flotta di 134 aerei, Etihad di 98.