Nel febbraio del 1940, ad appena 18 anni – ma con numerosi film già alle spalle, Alida Valli è in cima alla lista delle attrici più votate dai lettori di Cinema, seconda solo ad Assia Noris. Da allora manterrà un certo favore nel pubblico nazionale, a sostegno di una carriera lunghissima, che include anche il teatro e la televisione e attraverso la quale si possono leggere vaste porzioni delle storie del cinema e della cultura nell’Italia del Novecento.

Tale produttivo intreccio fra la storia del cinema e un interesse più ampiamente culturale è proposto dal ricchissimo fascicolo 586 di «Bianco & Nero», curato da Mariapia Comand e Stephen Gundle, e corredato da uno splendido apparato iconografico. In particolare, i saggi – proposti in molti casi sia in italiano che in inglese – indagano i rispecchiamenti fra aspetti pubblici e privati della personalità della diva e dei racconti che ne sono stati fatti, oltre alle relazioni personali e con il pubblico intessute da questa protagonista del cinema italiano.

L’ARCHIVIO PRIVATO
Le studiose e gli studiosi che hanno contribuito con grande originalità a questo numero si sono confrontati con il Fondo Alida Valli, che inventaria l’archivio privato dell’attrice (composto di documenti sia scritti che fotografici) affidato alla Biblioteca Luigi Chiarini, presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Si tratta di un fondo preziosissimo, ampiamente descritto da Laura Pompei e Marina Cipriani nelle pagine conclusive del fascicolo, e che si dimostra fondamentale nel tracciare questa prima cartografia dei sentimenti che turbinano attorno ad Alida Valli. Parte ad esempio dalle copertine delle riviste a lei dedicate il bell’excursus di Gian Piero Brunetta sulla «vallifilia», che fa emergere la costante tensione fra emancipazione e legame con la tradizione dell’immagine pubblica dell’attrice fin dai suoi esordi.

FEMMINILITÀ ITALIANA
Un certo dualismo è individuato anche da Francesco Pitassio nel suo approfondito saggio sulla retorica tramite cui veniva presentata la diva Valli dalla pubblicistica, soprattutto a cavallo della guerra. Sul finire degli anni Trenta, la giovane Alida è proposta come ideale di femminilità italiana, nel senso di un corpo portatore di una «razza» lontana da quella mediterranea o dal sospetto di cosmopolitismo (ebraico). Nel dopoguerra, molte dive implicate nel cinema fascista furono accantonate dal discorso pubblico; Valli riuscì invece a sfruttare le «componenti europee» e internazionali della propria figura, anche grazie all’interpretazione di una serie di donne autonome, vittime sacrificali dell’inadeguatezza maschile. A queste va aggiunta la problematica esperienza hollywoodiana con Selznick, raccontata nei suoi aspetti anche fallimentari da Lola Breaux. Come sottolinea Raffaele De Berti, però, durante il viaggio a Hollywood si consolida anche un aspetto più tradizionale della figura pubblica della diva: vengono enfatizzati il suo essere moglie e madre nella quotidianità, così come molti film che la vedevano protagonista la mantenevano all’interno di un rapporto di coppia con vari divi (affrontato nel fascicolo da Cristina Colet). La costruzione di una famiglia è dunque al centro del passaggio di Valli da giovane diva dell’era fascista ad attrice consolidata nel dopoguerra, della quale vengono raccontate anche la costanza, la serietà e la responsabilità professionali, garanzie fornite dalla sua medietà. Caratteristiche che emergono anche dalla riflessione di Mariapaola Pierini, che attraversa e ricompone la corrispondenza pubblica dagli USA tenuta dal marito di Alida, il musicista Oscar de Mejo, su Fotogrammi.

I SAGGI
Nel narrare le contraddizioni e le tensioni che costruiscono la figura di questa diva, il fascicolo si propone dunque di attraversare la carne viva del cinema e della cultura italiani. Come riscontrato da Comand e Gundle nell’introduzione, infatti, i saggi presentati nel numero iniziano a disegnare un «atlante delle emozioni», quelle espresse nei documenti presenti nel Fondo, ma anche quelle attivate dalla fascinazione ancora presente per la diva, che inducono studiosi e studiose a cercare percorsi originali all’interno della sua carriera. Il rapporto con la storia e la storiografia si accende dunque di esperienze vissute, e i saggi vanno a toccare la carnalità del corpo dell’attrice e la materialità dei documenti che la riguardano: in questo senso, grande rilievo assume ad esempio il giovane corpo di «Sulamita» nel resoconto di Marcello Seregni; ma anche i suoi sviluppi in quel primo periodo fascista, soprattutto in relazione a un’attenzione tutta autarchica per la moda e i costumi ricostruita con cura da Meris Nicoletto. Corpo divistico che è come sempre oggetto di adorazione ma anche di identificazione, come emerge dalla bella analisi delle lettere dei fan ricevute dall’attrice fra il 1936 e il 1941, svolta da Federico Vitella. Il Fondo Alida Valli in questo caso mostra tutto il suo pregio nel restituire non solo l’immagine della sua protagonista, ma anche nel permettere uno studio attento di diverse pratiche cinefile condivise dal pubblico dell’epoca.

L’ULTIMA ETÀ
Quello di Alida Valli è però anche un corpo che, necessariamente, invecchia. Come detto, la diva ha caparbiamente proseguito la propria carriera lungo un arco temporale molto ampio, contribuendo al cinema di genere negli anni Sessanta e soprattutto Settanta. Giovanna Maina ha affrontato questa parte della sua carriera in un graffiante intervento, in cui racconta come Alida abbia esibito «scandalosamente» il passare degli anni e «sporcato» con spavalderia la «signorinetta» fotogenica del passato con le sue madri di volta in volta orrorifiche, controverse, minacciose o semplicemente sboccate.

BIBI
Ad emergere nel fascicolo infine un aspetto meno noto ed esplorato della diva, ovvero le relazioni private di sostegno intessute da Alida con alcune altre donne, che con la loro fedeltà e presenza costante hanno fornito un contributo indispensabile alla sua vita. La parte dedicata agli approfondimenti si chiude infatti con un affascinante e approfondito intervento di Lucia Cardone, che affronta la corrispondenza di Alida con Bibi Campanella. Una relazione lunga e articolata, che si allarga a coinvolgere anche la madre e i figli di Alida, nonché la sorella di Bibi, in una rete familiare estesa di rapporti affettivi che esibiscono tutta la loro complessità. L’intervento rende la consapevolezza estrema di queste donne nel ricavare un proprio margine di autonomia e libertà, e soprattutto nel riconoscere la necessità di un sostegno reciproco perché sia possibile vivere esperienze diverse. Il saggio si chiude aprendo a future ricerche, perché enfatizza un aspetto talvolta trascurato della storiografia: la necessità di esplorare la molteplicità delle storie che compongono il cinema, nei suoi aspetti pubblici ed esibiti ma anche nella dimensione più privata.

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L’OMAGGIO
Martedì 28 febbraio, la Sala Trevi di Roma dedica un evento ad Alida Valli. La lunga e poliedrica carriera della diva sarà ripercorsa attraverso la proiezione di «Piccolo mondo antico» (Mario Soldati, 1941, ore 17.00) e «Siamo donne» (AAVV, 1953, ore 19.00); il pomeriggio si concluderà (alle 20.45) con un incontro del pubblico con Lucia Cardone, Mariapia Comand e Pierpaolo De Mejo, moderato da Alfredo Baldi. Durante la serata verrà inoltre presentato il bel numero 586 di «Bianco e Nero» dedicato ad Alida Valli. La rivista, diretta da Mariapia Comand, è pubblicata dal Centro Sperimentale di Cinematografia, luogo con cui l’attrice ha sempre intrattenuto un rapporto preferenziale: una delle prime allieve a farne parte, la sua Biblioteca Luigi Chiarini è ora la sede del suo archivio privato. Il Fondo Alida Valli, che è stato essenziale alla stesura del numero, rappresenta un’occasione eccezionale per storiche e storici, perché permette di recuperare e incrociare una grande quantità di fonti, di natura molteplice, per rivisitare la carriera, la vita e il divismo di Valli da prospettive inedite, e ripensare anche il cinema e la cultura dell’Italia del Novecento.