Un anno prima Elena è stata uccisa dal suo fidanzato, Enrico, dopo un rapporto segnato dalle furiose scenate di gelosia di quest’ultimo, dalla sua costante ricerca di un controllo totale sulla ragazza, i suoi tempi, il suo corpo, la sua vita. Poco più che maggiorenne lui, poco meno lei, la loro storia era sempre stata così, al punto che nessuno tra i loro amici era davvero preoccupato: la violenza dei modi di Enrico sembrava a molti solo un’esagerazione di comportamenti già visti o subiti in casa, in altre relazioni, qualcosa di sbagliato, certo, ma solo un po’ eccessivo rispetto alla norma. Nessuno immaginava potesse essere solo l’anticamera dell’omicidio, di un controllo talmente totale sul presunto oggetto del proprio «amore» da condurre al suo annichilimento, alla sua morte quando finalmente Elena aveva trovato il coraggio per mettere fine a quella relazione claustrofobica.

Un anno dopo a Pontinia, piccolo centro della provincia di Latina dove la memoria della bonifica degli anni Trenta è rimasto nelle «migliare» che tagliano il territorio in spicchi geometrici, un gruppo di adolescenti compresi tra i 16 e i 18 anni, gli amici e soprattutto le amiche di Elena, affronta le proprie sfide, scoperte e delusioni come riflesso in quella tragedia che sembra aver cambiato per sempre le loro esistenze.

Romanzo di formazione che indaga con uno sguardo di genere l’età incerta e sperimentale dell’adolescenza, Adorazione (66thand2nd, pp. 338, euro 18) non segna solo il brillante esordio narrativo di Alice Urciuolo (1994), tra le sceneggiatrici della serie Skam Italia – che racconta in prima persona le vicende di una decina di giovani della capitale – ma restituisce tutto lo spaesamento e la ricerca di sé di una generazione molto raccontata ma poco protagonista della propria storia. Il libro sarà presentato oggi alle 16 a Roma nell’ambito del festival «Insieme» dall’autrice e da Paolo di Paolo.

[do action=”citazione”]C’è un percorso di emancipazione di tutti i personaggi che va di pari passo con la comprensione di come sia potuta accadere una cosa del genere[/do]

 

Alice Urciuolo

Gli amici e soprattutto le amiche di Elena vivono le loro esperienze, sfide e scoperte come riflesse nella tragica vicenda di cui lei è stata suo malgrado protagonista. Quel femminicidio parla alle loro vite?
Nel romanzo il percorso di emancipazione di tutti i personaggi, primo fra tutti quello di Vanessa, la migliore amica di Elena, va di pari passo con la comprensione di come sia potuta accadere una cosa del genere. L’assassinio di Elena rappresenta una conseguenza estrema di una società in cui i rapporti tra uomini e donne sono regolati da una matrice di stampo patriarcale, ma questa matrice, in maniera più o meno esplicita, più o meno incisiva e violenta, regola tutte le relazioni presenti nella storia.

Le ragazze sono le vere protagoniste del libro e si ha l’impressione che attraverso la scoperta di sé, dei propri corpi, delle proprie emozioni annuncino un possibile cambiamento rispetto ad una realtà che assegna loro dei ruoli almeno in apparenza immutabili.
La scoperta del desiderio cambia Diana, Vera e Vanessa nel giro di un’estate: Diana si scopre per la prima volta oggetto del desiderio e soggetto desiderante, Vera rimane imprigionata in un’ossessione amorosa fatta di frustrazione e umiliazione, Vanessa capisce per la prima volta chi è e cosa vuole realmente. E tutte loro, seppur in modi molto differenti, compiono lo stesso percorso: quello di uscire dagli schemi imposti e di tracciare una loro strada. Ma senza nessuna garanzia di felicità o di serenità facile e immediata, perché tracciare un percorso che non esisteva è molto più duro che seguirne uno già disponibile.

Se è lo sguardo e la ricerca di libertà delle giovani protagoniste a definire il profilo del romanzo, anche i ragazzi appaiono però fare i conti con molte contraddizioni con il modello di «identità maschile» che sembra essere proposto loro.
Sono spaesati, come le ragazze, privi di punti di riferimento adeguati, che possano dare loro le risposte che davvero cercano. Perché anche gli uomini, come le donne, sono condizionati da un sistema di valori fatto di gabbie e stereotipi, e come le donne hanno altrettanto bisogno di problematizzare e decostruire un codice comportamentale imposto alla nascita. Giorgio e Christian, i ragazzi protagonisti, da un lato avvertono la pressione sociale del loro ambiente che dice loro di essere «maschi a tutti i costi», dall’altra percepiscono tutti i problemi e le falle del modello di toxic masculinity che hanno introiettato, e di cui Enrico, che un anno prima ha ucciso la sua ragazza, è l’esempio più tragico.

Gli adulti del romanzo non sembrano in grado di ascoltare davvero né di offrire risposte alle paure e all’inquietudine di queste/i giovani: più che costituire un mondo a cui ribellarsi, appaiono però come una realtà di finzione, quasi uno scenario di cartapesta sorretto solo da luoghi comuni e ipocrisia.
Tutta la comunità è pervasa da questo senso di omertà che spinge le persone, soprattutto gli adulti, a tacere tutto ciò che «non sta bene»: le emozioni, i sentimenti, il sesso, il dolore. È il motivo per cui quasi nessun adulto parla alle ragazze più piccole del femminicidio di Elena, e neanche lo nomina: «la brutta cosa che è successa», così Diletta, la madre di Diana, chiama quel delitto. Per questo gli adulti non costituiscono un porto sicuro. Ma ci sono anche altri esempi, come quello di Walter, il padre di Vanessa, che non ignora il dolore della figlia e fa tutto quello che è in suo potere per comprenderla e aiutarla.

[do action=”citazione”]La violenza è molto presente nel romanzo. Alcuni si sorprendono di averla compiuta, ma non hanno strumenti adeguati per elaborare le proprie emozioni[/do]

 

Questo romanzo incrocia il suo lavoro come sceneggiatrice di «Skam Italia», c’è un percorso comune tra le due esperienze nell’ascolto e nell’incontro con gli adolescenti?
Il metodo con il quale è stato scritto Skam è stato ideato dalla sua creatrice Julie Andem (la sceneggiatrice dell’originale format norvegese, ndr) e consiste nel far parlare i ragazzi in prima persona e mettersi in ascolto. Grazie a questo lavoro ho avuto l’opportunità di intervistare molti teenager e di certo da quella volontà di cedere loro il microfono ho ereditato un metodo e un’attitudine anche per la scrittura di Adorazione.

La realtà dei protagonisti del romanzo non potrebbe essere più lontana da quanto è accaduto a Colleferro – l’omicidio di Willy -, eppure nella storia che racconta si ha spesso la sensazione che la violenza possa arrivare da un momento all’altro, come fosse una parte costitutiva della cultura circostante e dei modelli che questa costruisce.
In Adorazione la violenza è molto presente, e a volte gli stessi personaggi si sorprendono di averla compiuta, e non capiscono che cosa li abbia spinti a compierla perché non sono neanche in grado di capire i propri sentimenti, non hanno strumenti adeguati per l’elaborazione delle proprie emozioni. Nel romanzo in molti casi la violenza si sarebbe potuta evitare, se solo i ragazzi avessero avuto attorno una realtà più aperta all’ascolto e alla riflessione.

La zona dell’Agro Pontino in cui è ambientato il romanzo è al centro delle opere di Antonio Pennacchi. Per lo scrittore di Latina, a proposito di quei luoghi e della loro memoria si è parlato di volta in volta di un fantasma ricorrente come di una musa. Per lei e i protagonisti del suo libro cosa rappresentano?
Sono i luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza, quindi c’è prima di tutto un legame personale e affettivo. Sono stati il posto dal quale mi sono confrontata col mondo, il termine di paragone costante, una sorta di misura interiore. Mi hanno permesso di riflettere su aspetti complessi della realtà e della società che alla fine ho scoperto essere comuni a molti altri luoghi – come dico nel romanzo, si è sempre la provincia di qualcun altro. Insomma, per me amore viscerale da una parte e problematizzazione dall’altra. Per i protagonisti di Adorazione vale lo stesso.