«Quello che chiediamo allo spettatore con questo film è di tornare innocente, perlomeno nello sguardo verso l’altro» – dice Alice Rohrwacher alla presentazione del suo nuovo lavoro in concorso a Cannes, Lazzaro felice. Innocente come il suo protagonista, Lazzaro appunto (l’esordiente Adriano Tardioli), «un personaggio sempre contento di aiutare tutti, e che gioisce nel vedere gli altri felici». Lo incontriamo per la prima volta in una campagna degli anni ‘90 ma fuori dal tempo, dove abita in una fattoria – l’Inviolata – insieme a molti altri contadini di tutte le età che inconsapevoli della fine della mezzadria vivono come servi della crudele marchesa Alfonsina (Nicoletta Braschi). «Come l’araba fenice che rinasce dalle sue ceneri», dice Alice Rohrwacher, Lazzaro attraversa però il tempo e questo inganno – senza cambiare o invecchiare – per ritrovarsi, nella seconda parte del film, nella periferia di una grande città dei nostri giorni.

Prima del personaggio, spiega la regista, «è nata la storia, il contesto. Volevamo raccontare la fine di un mondo feudale, quello della mezzadria, e il passaggio da un medioevo sociale, storico, a un medioevo apocalittico, umano. E questo contesto è stato illuminato all’improvviso dall’arrivo di Lazzaro: il buono».

Deliberatamente sospeso tra favola e realtà, Lazzaro felice è ambientato in luoghi simbolici: «Cercavamo dei posti che fossero mitologici sia per la parte che si svolge in campagna – era fondamentale che fosse bella, senza però mai cadere nella trappola della seduzione emanata da questa bellezza – che per quella ambientata in città: abbiamo girato a Milano e Torino ma doveva poter sembrare qualunque città del mondo». Tra questi due mondi, Lazzaro resta sempre invariabilmente buono e innocente: «Non volevo raccontare la scelta della bontà ma la sua possibilità, che ciclicamente muore e ritorna» come accade al protagonista. «In questo senso Lazzaro come modo di essere è indenne al tempo, lo attraversa, e continua a tornare e interrogarci». Come lui infatti anche il mondo sembra restare sempre uguale, fatto di sfruttatori e sfruttati – «l’essere umano è sempre portato a sfruttare il prossimo» – compresi i moltissimi migranti che come i protagonisti nella seconda parte del film affollano questa periferia ‘universale’». «Lazzaro felice è una fiaba che nasce dalla realtà e dal desiderio di un racconto corale che segua il destino di un personaggio attraverso il tempo. Fiabesca è la netta divisione del mondo in buoni e cattivi, vista però attraverso lo sguardo di un personaggio che non sa chi siano i buoni e chi i cattivi».

Tra i riferimenti del film sono stati citati molti nomi: Pasolini, i fratelli Taviani, Fellini – e Alice Rohrwacher ci tiene soprattutto a menzionare Ermanno Olmi, appena scomparso . «E’ il cinema che ho amato e che per questo è nel mio sangue, nella memoria, ancor prima di essere riferimento cosciente».