Claudio e Cristina vivono a Roma. Lui, di origine calabrese, insegna Museologia all’Accademia di Belle Arti. Lei, romana, si occupa della gestione dei fondi strutturali alla Regione Lazio. Sono una coppia di mezza età e hanno una vita molto impegnata che dividono tra lavoro, famiglia, amici e due case. Claudio ne ha una all’Esquilino. Cristina vive nel quartiere Garbatella con i suoi due figli di 21 e 18 anni.
Le vite di Claudio e Cristina hanno incrociato quella di un giovane, che chiameremo Ali, quando hanno sentito il bisogno di essere «socialmente attivi». Ali ha 26 anni e viene dal Mali. Da gennaio svolge un tirocinio come operaio edile. Attualmente però è in malattia per un intervento chirurgico alla mano. Claudio ha fatto il volontario alla Caritas tra i 30 e i 40 anni. «Sono laico, di sinistra e non mi vergogno a dirlo». Le sue parole suonano come un richiamo al dovere di cittadino. «Noi sappiamo che c’è un’altra Italia», sottolinea Cristina. Da febbraio Ali abita nella casa di Claudio e ha una nuova famiglia.

È in Italia da tre anni. Nel suo Paese era al secondo anno di legge. Ha lasciato la sua terra con un amico quando aveva 20 anni. Non dice il motivo per cui l’ha fatto. Ha attraversato il deserto in autobus arrivando in Algeria, dove ha lavorato per un anno. Cristina è visibilmente emozionata mentre racconta la storia di Ali. E più va avanti nel racconto, più il suo volto si fa cupo. Più Ali macina chilometri in Africa, più la situazione degenera. Arriva in Libia: «Ali sapeva che lì tutti possono fare di te quello che vogliono». Per proteggere la famiglia si è preparato. Ha dato i soldi a un amico fidato. E quando i libici hanno chiesto di contattare la madre per farsi pagare la scarcerazione, ha dato il suo numero. Ma lì funziona così: ti liberano e ti riprendono. Ad Ali il carcere è toccato due volte. Poi il barcone. Il “biglietto” è costato 1500 euro. In genere, poco prima della partenza i libici chiedono se qualcuno sa guidare. Chi si offre non paga. C’è sempre chi risponde. Sul barcone erano in 130.

È arrivato a Pozzallo, in Sicilia, nel 2016 e poi ad Anzio, non lontano da Roma, nello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ha ottenuto il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, la seconda forma di protezione internazionale, dopo lo status di rifugiato. «Non so come ha fatto a superare tutto questo. Se dovessi immaginare mio figlio in quella situazione, penso che non ce l’avrebbe fatta». Cristina è una donna forte, affettuosa. Lo dimostra il lungo abbraccio dato a Giovanni, il più grande, appena rientrato in casa. «Non lo vedo da due giorni – si giustifica -, viviamo sotto lo stesso tetto, ma ultimamente non riuscivamo a incrociarci».
Claudio e Cristina hanno deciso di accogliere un rifugiato a dicembre scorso. Hanno parlato con amici e parenti. «Erano tutti entusiasti – spiega Claudio -. Abbiamo capito che non sarebbe stata un’esperienza solo nostra». C’è chi gli insegna l’italiano, chi gli regala le verdure, anche se «a lui non piacciono le cose verdi». Una volta deciso che dovevano fare qualcosa, Claudio e Cristina si sono iscritti alla piattaforma online di Refugees Welcome, dove anche Ali si era registrato. L’associazione ha un sito che mette in contatto le famiglie con i rifugiati. Claudio ha seguito l’esempio della sorella Giusy. La descrive sorridendo, con gli occhi pieni di orgoglio. «È una matta», esclama. «È andata a Lampedusa per partecipare a un festival e ha iniziato a fare volontariato». Ora vive a Parigi con le due figlie e ha preso in affido due minorenni e un ragazzo. «Lei però lo ha fatto tramite le istituzioni». E qui Claudio si fa serio: «Lo Stato francese dà una maggiore sicurezza».

Quando si è rivolto a Refugees Welcome ha notato subito che erano molto giovani: «All’inizio mi sembravano tutti miei nipoti, poi ho capito che è un’organizzazione seria e strutturata». L’associazione è composta da attivisti volontari. Ognuno prende in carico un iscritto: uno segue la famiglia e uno l’immigrato.

Dopo aver incontrato Ali in un bar, Claudio e Cristina hanno sottoscritto un contratto. Inizia così la loro convivenza. «Passi i primi 15 giorni a capire chi è lui e lui chi sei tu», spiega Claudio. «Non conta aver fatto volontariato, perché è sulla quotidianità che ti misuri». Con Ali l’alchimia è scattata subito. Dopo un paio di mesi Claudio e Cristina hanno incontrato altre famiglie ospitanti, ma non per tutti è stato semplice. «Sarà perché Ali è pio», dice Cristina. O perché, secondo Claudio, il rapporto che stanno costruendo non si riduce a un letto e a un bagno caldo. L’obiettivo di Claudio è quello di far capire ad Ali quali sono i suoi desideri. I momenti di difficoltà non mancano. «Se gli chiedi come va risponde sempre “tutto bene”». Una volta Claudio gli ha chiesto perché non riuscisse a dire le cose come stavano realmente. La risposta di Ali l’ha freddato: «Ho paura che se dico qualcosa finisce tutto». Dopo quelle parole Claudio si è rifugiato nella sua stanza: «Mi sono fatto il mio pianto e sono tornato da lui».

Gli sta insegnando a essere trasparente, lo ha aiutato a prendere la patente, a costruire una relazione con la città e con gli altri. A rispettare il suo tempo: l’unico motivo per il quale hanno litigato è stato perché Ali continuava a lavorare 10 ore al giorno. «Gli ho detto che si deve mettere in testa che ha una vita vera ora». Ali, di contro, gli sta dando «tanto affetto».

Ali è riservato e Claudio e Cristina hanno sempre evitato di raccontare la sua storia. Poi però è stato proprio lui a voler partecipare a un evento organizzato da Refugees Welcome che promuoveva l’accoglienza in famiglia dei rifugiati. Ali ha preso la parola, scusandosi del suo italiano stentato: «È un po’ troppo per me parlare di tutto questo. Sono molto contento in questa famiglia, mi sento nato a nuovo». Per poi aggiungere, ironico: «Loro sono qua, però, non posso parlare ora. Comunque voglio dire, mamma Cristina, zio Claudio e tutti i fratelli e amici, bello».

 

SCHEDA

Refugees Welcome nasce nel 2014 dall’idea di tre ragazzi berlinesi che hanno deciso di aprire un sito online per dare ai rifugiati un letto dove dormire. L’associazione è presente in 15 Paesi in tutto il mondo. In Italia è nata a fine 2015. Si rivolge ai rifugiati regolari e ha l’obiettivo di renderli autonomi dopo la convivenza in una famiglia.

“Negli ultimi mesi abbiamo notato un incremento di iscrizioni perché il decreto Sicurezza ha penalizzato chi ha la protezione umanitaria, togliendoli il diritto all’accoglienza e lasciandoli per strada”, denuncia Fabiana Musicco, fondatrice di Refugees Welcome Italia. “Anche le famiglie sono aumentate, ma comunque non bastano per tutti”.

Tra il 2016 ed il 2018 sono state realizzate nel nostro Paese 119 convivenze. In Italia ci sono 26 città attive, dove sono presenti i volontari di Refugees Welcome che mettono in contatto le famiglie con i rifugiati. Con il nuovo progetto Young together, ora anche i giovani possono ospitare.