La Scala riapre i battenti con un appuntamento speciale, giunto alla sua terza edizione. Si tratta di un’opera che impegna l’orchestra, il coro, i solisti dell’Accademia del Teatro e gli allievi della scuola di ballo, provenienti da 14 diverse nazioni, alla fine di un anno di lavoro intensivo con un regista e un direttore di rango. L’opera in questione è l’ultima composta da Luigi Cherubini, Alì Babà e i quaranta ladroni, che manca dal Piermarini da ben cinquantacinque anni. Il direttore è Paolo Carignani, la regista Liliana Cavani, coadiuvata da Leila Fteita (scene), Irene Monti (costumi) e Emanuela Tagliavia (coreografia). Con una formula unica a livello mondiale, il Teatro dà dunque agli allievi della sua Accademia la possibilità di cimentarsi in uno spettacolo dello stesso livello artistico e impegno produttivo degli altri titoli della Stagione, completando professionalmente il loro percorso formativo.

Se si fa eccezione per un paio di lavori composti a più mani con altri compositori, a Parigi nel 1833 con Ali Baba ou Les quarante voleurs Cherubini tornava all’opera dopo circa vent’anni in cui si era dedicato esclusivamente alla musica da camera e religiosa. Il risultato è una partitura a tratti squisita e caparbiamente fuori dal tempo, con la quale Cherubini si congedava dal teatro musicale riaffermando per un’ultima volta la sua inattaccabile estraneità alle mode del momento, il suo disprezzo per le tendenze del teatro italo-francese e la sua consonanza con quello tedesco. Non a caso, dileggiata da Berlioz e criticata da Mendelssohn, l’opera ebbe vita brevissima in Francia e Italia, ma prosperò in Germania. L’allestimento di Cavani-Fteita-Monti è improntato a una semplicità che non vuole aggiungere niente al libretto se non un collegamento di cornice al presente: durante l’ouverture il sipario si apre su una biblioteca in cui studiano dei ragazzi, uno dei quali racconta alla ragazza cui fa la corte la storia che sta leggendo, che è proprio quella di Alì Babà. Segue la rappresentazione di un Oriente fantastico e stilizzato, scenicamente colorato e assai parco di azione.

La direzione di Carignani è a tratti sopraffatta dalla complessità delle costruzioni di Cherubini e dalla difficoltà di tenere a bada un’orchestra ancora da rifinire, con qualche sfasatura di tempi negli attacchi dei solisti e dei cori, certamente non aiutati dalla scelta del Teatro di usare la pessima versione ritmica del libretto di Mélesville e Eugène Scribe approntata da Vito Frazzi per l’unico allestimento scaligero del 1963, piena di zeppe, sciatterie linguistiche e cadute prosodiche. Nel cast dei cantanti esordienti spicca il promettente Riccardo Della Sciucca, che sfoggia una voce voluminosa, timbrata, sfogata in acuto e un bel fraseggio. Bravi anche Alexander Roslavets, già in carriera, Francesca Manzo e Rocco Cavalluzzi. Repliche fino al 27 settembre.