L’Algeria è sotto shock. La spaventosa immagine della decapitazione dello scalatore francese Hervé Gourdel, avvenuta il 24 settembre, ha fatto ripiombare gli algerini nel terribile incubo degli anni 90. L’impatto mediatico ha provocato un enorme shock psicologico. I funerali di Gourdel, sempre se si ritroverà il suo cadavere decapitato sulle montagne della Kabylia, sarà anche la sepoltura simbolica della politica della riconciliazione nazionale che ha portato Abdelaziz Bouteflika al potere nel 1999. E politicamente anche la fine del presidente Bouteflika sebbene sia stato rieletto per un quarto mandato.

È il requiem di un discorso politico che si è retto sull’ingiustizia per le vittime del terrorismo e sul perdono (e amnistia) per i responsabili dei massacri e delle violazioni dei diritti umani (sia terroristi che esercito), denunciato da molti rappresentanti della società civile. Ora si scopre che il terrorismo in Algeria non è più così residuale come si pensava, che le foreste della Kabylia, dove spesso si ripetono attacchi alle forze dell’ordine e azioni terroristiche, non sono più frequentabili dai turisti perché sono il rifugio dei gruppi armati che non si sono arresi a Bouteflika. Ed è tra gli ex del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) – si dice per ora solo una ventina – che qualche settimana fa è nato Jund al Khilafah, i seguaci del Califfato di al Baghdadi. Il sequestro dello scalatore francese e la sua esecuzione ha dato al nuovo gruppo terroristico una notorietà che avrà anche un effetto reclutamento. Il gruppo formato da Gouri Abdelmalek diventato Khaled abu Selmane, nasce da una scissione di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). Il motivo del dissenso con il gruppo guidato da Droukdel nasceva proprio, secondo quanto pubblicato da un sito islamista alla fine di agosto, dalla «devianza» dell’Aqmi rispetto all’Isis.

Quale sarà l’effetto dell’azione efferata contro Gourdel? In primo luogo gli algerini si sono resi conto che i terroristi sanguinari sono anche tra di loro e che l’Algeria non è il paese stabile che l’occidente appoggiava.
L’Algeria non fa parte degli arabi volonterosi schierati con Obama per combattere l’Isil, ma non è più nemmeno il paese che aveva battuto il terrorismo in casa sua e che era diventato un partner strategico per gli occidentali nella regione (Libia, Mali, etc.). Nel gennaio 2013 l’appoggio all’intervento francese in Mali aveva provocato l’attacco alla raffineria di Tiguentourine nel sud del paese. Allora l’effetto sull’immagine dell’Algeria era stato minore.

Ora le conseguenze saranno più gravi: sarà ridotto il margine di manovra dell’Algeria sul «fronte mondiale» della lotta al terrorismo e questo comporterà inevitabilmente una maggiore sottomissione alle imposizioni delle forze straniere e occidentali.

Sul piano interno si dovranno fare i conti con chi ha liberato i terroristi e ha permesso loro di reintegrarsi nella società o di ritornare ad organizzarsi nel maquis. Tra i prigionieri liberati vi era anche Khaled Abu Selmane ritenuto, tra l’altro, responsabile degli attentati kamikaze avvenuti tra il 2007 e il 2011 nella regione berbera.
La politica di riconciliazione si è basata inoltre sulla diffusione di un discorso neo-islamizzante conservatore che ha provocato la smobilitazione rispetto al pericolo terrorismo e il venir meno di qualsiasi capacità di reazione all’orrore.