Alfredo Martini se n’è andato alcune settimane fa, all’età di 93 anni. È stato commissario tecnico della nazionale di ciclismo dal 1975 al 1997, un ventennio ricco di vittorie mondiali. Sotto la sua guida i ciclisti azzurri, professionisti riuniti una volta all’anno, salvo dal giorno successivo tornare ad essere avversari, hanno vinto il titolo mondiale per sei volte, Moser, Saronni, Argentin, Fondriest e Gianni Bugno che vinse nel 1991 e nel 1992.

Era uno semplice, Alfredo Martini, prima della gara scriveva poche parole su un foglio di quaderno e lo consegnava ai ciclisti azzurri, erano le indicazioni sul da farsi durante la corsa. Anche ai mondiali che si disputarono nel ’91 a Stoccarda, consegnò il foglietto a Bugno, c’era scritto di risparmiare il più possibile le energie e di stare sottovento, il segnale di quando attaccare l’avrebbe dato lui dall’ammiraglia, anche in questo caso in modo semplice con un leggero segno della mano.

Nel gruppo di testa c’erano cinque corridori, tra i quali Indurain, padrone indiscusso del Tour e il francese Jalambert, ma la spuntò Bugno, che l’anno successivo replicò la vittoria mondiale. Il ciclista italiano che bissò il titolo iridato dichiarò negli anni successivi, e soprattutto dopo il ritiro dalle corse, di aver pensato più volte a quello strano modo che aveva Alfredo Martini di scrivere poche parole su un foglio di quaderno, per le indicazioni tattiche durante la corsa, e ancor più strano era che ciò che scriveva si verificava.

Il commissario tecnico della nazionale di ciclismo era noto ai suoi corridori, famosi in tutto il mondo, per le sue capacità affabulatorie, a quei corridori supersponsorizzati raccontava di Bartali e Coppi, dei quali era stato a lungo gregario, di loro ricordava tutto, un vero archivio vivente, dal luogo della fuga al minuto dell’attacco fino alle condizioni meteo.

Alfredo Martini era un giovane bibliotecario a Sesto Fiorentino, quando fu sollecitato da un suo amico a salire sul sellino e ad allenarsi per svariati chilometri, anche 150 al giorno. Raccontava, a quei campioni iridati ricchi e famosi, che quando scendeva dal sellino non riusciva neppure a pronunciare il suo nome, tanto era il fiatone che aveva, mentre l’amico era in grado di ricominciare, il suo nome era Gino Bartali. Alfredo Martini è stato un grande commissario tecnico per i risultati raggiunti, ma è stato anche un corridore di livello, tanto che Coppi e Bartali se lo contendevano.

Fu ciclista professionista dal 1941 al 1957 con una interruzione negli anni della seconda guerra mondiale. Di famiglia socialista, pur essendo un corridore professionista affermato, non esitò un solo istante ad abbandonare le corse su strada per raggiungere i partigiani in montagna e impegnarsi attivamente nella Resistenza, risultando tra i pochi sportivi professionisti a non schierarsi con la Repubblica di Salò di Mussolini. Di quella esperienza così parlò anni dopo, sorprendendo ancora una volta per la semplicità delle parole: «E poi c’era un’altra bicicletta, le prime gare, qualche successo, tanta fatica, la voglia di fare il corridore, il primo club è il Luigi Ganna», aveva un nome troppo importante perché i fascisti ci dessero fastidio, perché a loro i gruppi sportivi non andavano a genio, la gente si trovava, parlava…Anche il 25 luglio del ’43 quando arrestano Mussolini sono in bicicletta, la stessa che mi serve a far da spola con i partigiani, per portare vivande e notizie, mentre i tedeschi bombardavano».

Alfredo Martini fu destinato alla brigata partigiana Lanciotto Ballerini, operò al fianco del comandante Potente, pseudonimo di Aligi Barducci, ai suoi ordini si fece carico di missioni in bicicletta assai rischiose, come quelle di portare carichi di bombe molotov alle formazioni partigiane presenti sul Monte Morello, vicino alla sua Sesto Fiorentino, fino a quelle che operavano sul Pratomagno, nei pressi di Arezzo.

Di quelle missioni rischiose al servizio della Resistenza toscana, Alfredo Martini ebbe coscienza solo anni dopo, quando affermò: «Se fossi caduto in bicicletta e le bottiglie molotov si fossero rotte, sarei saltato in aria». Finita la lotta partigiana e liberata l’Italia dal nazifascismo, Alfredo Martini riprese a correre, passando dal ruolo di staffetta partigiana a quello di corridore professionista lungo le strade non asfaltate del Giro, e si aggiudicò nel 1947 il Giro dell’Appennino e nel 1950 quello del Piemonte, in quello stesso anno vinse anche la tappa di Firenze del Giro d’Italia. Alfredo Martini fu decisivo, come gregario, nell’aiutare Fausto Coppi a vincere ben due Tour de France, quello del 1948 e quello del 1952, corse lungo le strade del dopoguerra fino al 1957, per riprendere circa venti anni dopo a percorrere le vie del ciclismo dall’ammiraglia come ct. Fu un percorso di trionfi, mai accompagnati dall’esaltazione e da parole fuori posto.

Nessuno in Italia a saputo guidare alla vittoria iridata per ben sei volte i professionisti della nazionale di ciclismo, come ha fatto Alfredo Martini. In tanti alla sua morte, avvenuta il 26 agosto, hanno ricordato il suo carattere toscano, altri il suo senso della concretezza, qualcuno ha sottolineato che Alfredo Martini è stato un uomo con la schiena dritta per 90 anni, pensiamo anche per il suo passato di partigiano. A noi piace ricordarlo per essere stato bravo a non cadere dalla bici con le bottiglie molotov.