Fotografie che si nutrono di suoni e di immagini in movimento, come la terra dell’ossigeno e dell’acqua. È in questa coltura fertile e interdisciplinare che Alfredo Bini ha concentrato la sua ricerca, in un doppio binario fotografico e documentario dal titolo Land Grabbing or Land to Investors?, sul dramma silenzioso del «land grabbing» ovvero sugli accordi internazionali che regolano l’affitto di terreni sterminati da parte di gruppi finanziari, agenzie governative e multinazionali pronte ad arricchirsi ai danni dei coltivatori locali. Una sorta dunque di neo-colonialismo, privo di scrupoli umani e ambientali, che verrà indagato all’interno dell’oasi di «dissenso» del padiglione Slow Food, presso il parco della Biodiversità (proiezione sabato 30 maggio, 16.30).

Bini ha viaggiato attraverso l’Africa, gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita, e con la sua telecamera entra nei territori proibiti. E lì tenta una mediazione con la politica, raccoglie le grida disperate di contadini e attivisti, protetti dall’oscurità del controluce, cercando di instaurare un dialogo, possibile solo nel montaggio di controcampi in cui i padroni sono «illuminati» dalle immense finestre dei loro uffici.

In questa relazione di rimandi si colloca anche l’omonima mostra fotografica, cardine del reportage, a cura di Gigliola Foschi e fino al 5 giugno all’Auditorium San Fedele di Milano, che cattura altri scenari africani, apparentemente idilliaci, grazie ai colori delle serre, al rosso dei pomodori e dei peperoni, al verde delle piante di palma, delle foglie e degli abiti delle donne ma, nell’apparente semplicità di questi scatti, sono le lunghe e dettagliate didascalie a smascherare l’inganno di questa devastante politica alimentare.

Il reportage fotografico non può che denunciare questo pericolo, sotterraneo e strisciante, proprio con una scelta di immagini solo in apparenza rassicuranti ma che nascondono, fra le pieghe degli abiti e dei teloni dei vivai, una politica che affama il pianeta, una terra mortificata che combatte anche «contro» il discutibile diktat «Nutrire il pianeta» che campeggia in ogni evento Expo. Cielo e terra sembrano, da lontano, schiacciare i corpi, le piantagioni e le speranze mentre i campi agricoli si trasformano in risorse negate all’autosufficienza, nel panorama infinito dei cieli d’Africa che sembra quasi tramutarsi in strada a senso unico verso l’esportazione, lasciandosi alle spalle lo sviluppo e la crescita.