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Alfonso Cuarón, il successo e la sorpresa nell’ovetto

Alfonso Cuarón, il successo e la sorpresa nell’ovettoAlfonso Cuarón a Locarno 77 – foto Ansa

Locarno 77 Incontro con il regista messicano in occasione di una masterclass

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 13 agosto 2024

 

Sono chiamati i Three Amigos: Guillermo Del Toro, Alejandro Gonz e lui, Alfonso Cuarón. Un trio di amici, nati tutti a Città del Messico nei primi anni ’60, capaci di sbancare Hollywood e l’immaginario internazionale, ramazzando Oscar come noccioline. E Alfonso è arrivato a Locarno per ritirare il Lifetime Achievement Award non prima di quelle che ormai si chiamano masterclass, una piacevolissima chiacchierata sul suo fare cinema stimolata puntualmente da Manlio Gomarasca. La prima folgorazione per il cinema di Alfonso arriva una sera tardi quando «i miei genitori, babbo medico, mamma chimica, erano fuori casa, io e mio cuginetto siamo andati nella loro camera sperando di vedere in tv dei film erotici. In effetti era apparsa la scritta ‘per adulti’, ma si trattava di Ladri di biciclette. Ero rimasto confuso, non capivo bene cosa fosse: una storia emozionante, ma anche molto reale, senza abbellimenti. Mi aveva fatto venire voglia di vedere altri film simili, spesso non li capivo, mi annoiavo, Godard a nove anni! Ma la curiosità mi spingeva a proseguire».
Qualche tempo dopo «ho frequentato il grande periodo dei cineclub. All’epoca il Messico era l’unico paese che avesse rapporti con l’Europa dell’Est, così ho avuto modo di vedere film russi e polacchi. In realtà con Emmanuel Lubezki, che io chiamo Chivo (che diventa suo sodale e suo direttore della fotografia da Oscar, ndr) eravamo interessati più alle feste che seguivano le presentazioni, per rimorchiare».

Una sera i miei genitori erano fuori, io e mio cugino siamo andati nella loro camera sperando di vedere film erotici. La scritta «per adulti» c’era, ma si trattava di «Ladri di biciclette»

NON GLI SONO però chiarissimi i diversi lavori del cinema. Così, pur frequentando filosofia, comincia a occuparsi prima di montaggio, poi di fotografia, infine di regia e di scrittura. «Per me scrivere è un’ansia, non mi sento sicuro, poi il cinema era un modo per guadagnare qualcosa, a venti anni ero già padre e allora facevo di tutto: cameraman, montatore, molto aiuto regia. Sino a quando Chivo mi ha detto che il mio futuro sarebbe stato fare telenovelas. Mi sono risentito. Allora con mio fratello Carlos ho scritto e poi fatto il mio primo film, Uno per tutte».
Alfonso è anche fonte di aneddoti, infatti racconta che finalmente era riuscito a vendere il film alla Miramax per aggiungere subito «è stata la prima volta che Harvey Weinstein mi ha fottuto, non l’unica». Il pubblico ovviamente ride. Il film si perde nei meandri distributivi internazionali, per Alfonso rimangono i debiti e la depressione. Per sua fortuna Sydney Pollack vede il film e lo chiama a Los Angeles per fargli dirigere un episodio di Fallen Angels. «Non avevo pianificato Hollywood, ma così avevo ripianato i debiti». Il primo giorno di riprese Alfonso è il trionfo dell’insicurezza, gli interpreti sono Alan Rickman, Diane Lane, Laura Dern, lui gira un terzo di quanto pianificato, torna al motel pensieroso. «Il mattino successivo mi convocano, penso per cacciarmi, invece mi danno un’inattesa fiducia. Torno a girare, completo le riprese del primo giorno, quelle del secondo e qualcosa del terzo. La fiducia di Sydney e degli attori era stata fondamentale».

COSÌ ARRIVANO le regie de La piccola principessa e Paradiso perduto, ma la carriera non prende il volo. Quindi Cuarón si trasferisce a New York, noleggia e guarda un’infinità di film, ma non si sblocca. Lo fa solo chiamando di nuovo suo fratello per scrivere Y tu mamá también tornando in Messico per girarlo. La sua carriera svolta, vince il Leone doro e firma un successo imprevedibile. Così gli arriva la proposta clamorosa: Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. «Non avevo cercato quel film, me lo avevano proposto. Non avevo neppure letto il libro e Guillermo Del Toro mi disse con una volgarità tipica messicana ‘leggilo’. Era ottimo». Considerato a lungo il miglior film della serie, Alfonso assapora il successo, prima di perderlo con il distopico I figli degli uomini. Ci vuole tempo per riprendersi. Secondo Guillermo «fare un film di successo è come trovare la sorpresa nell’ovetto Kinder».
Il primo figlio è nel frattempo cresciuto e dopo diverso tempo Cuarón con lui si inventa Gravity. Un trionfo planetario ma soprattutto «un altro film che mi ha salvato la vita». Economicamente a posto si dedica a Roma, il film in cui ricostruisce in bianco e nero la sua infanzia a Città del Messico. Altro trionfo. Ma gli alti e bassi per lui fanno parte anche della vita reale. Da allora, sono passati sei anni, ora è tornato a scrivere, seppure tratto dal romanzo della giornalista Bbc Renée Knight, e dirigere Disclaimer, una serie per Netflix con Cate Blanchett protagonista che verrà presentato alla Mostra di Venezia.

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