Solo Angelino Alfano poteva vedere una «deriva a sinistra» del governo Gentiloni, e solo il ministro degli esteri può pensare di averla fermata con un incontro di un’ora e mezza a palazzo Chigi, ieri pomeriggio, tra il presidente del Consiglio e i capigruppo di Alternativa popolare Lupi e Bianconi.
Al partitino di ex berlusconiani il prudente Gentiloni ha concesso un po’ di visibilità. «Vertice» di maggioranza e un po’ di attenzione dei giornalisti, come usava per affrontare i seri pericoli di crisi, salvo che non c’è alcun rischio e la pattuglia di Alfano è l’ultima a voler rischiare qualcosa. Ha molto da perdere, tre ministri e dieci tra viceministri e sottosegretari. Bottino esagerato per una lista che nel caso si presentasse alle elezioni, dicono i sondaggi, non raggiungerebbe il 3%. Ed è proprio questo il problema di Alfano.

È la legge elettorale che preoccupa il mancato delfino di Berlusconi, al governo ininterrottamente dal 2013 attraverso tre diversi esecutivi, non il menù di lamentazioni depositato ieri a palazzo Chigi. Non la legge sulla legittima difesa – Ap vorrebbe libertà di sparare, e minaccia di votarla con la Lega se il Pd non si convince -, non la commissione di inchiesta sulle banche – dove ieri nel voto i centristi si sono differenziati -, non tanto la Rai – dove prima di Alfano è Renzi a volere la testa del direttore generale -, non la manovra finanziaria – dove gli alfaniani chiedono quello che Padoan ha già promesso a Renzi, niente nuove tasse -, e nemmeno i voucher, che pure sono stati presentati come il successo della giornata. Gentiloni si è impegnato infatti a individuare entro metà aprile uno strumento alternativo per i «mini job» di famiglie e studenti. Intanto però li cancella perché il referendum fa ovviamente più paura delle dichiarazioni di Lupi.
Alfano si agita, ma non ha carte per negoziare alcunché. Ha cambiato nome al partito – da «Nuovo centrodestra» ad «Alternativa popolare» ma nel parlamento sfibrato di fine legislatura i suoi senatori e deputati non sono più da tempo gli unici gruppi centristi (ce ne sono altri tre alla camera e altri due al senato). La legge elettorale prevede soglie impossibili per il suo partito, alla camera pare irraggiungibile anche il 3%. Senza contare che quando finalmente, dopo il congresso Pd, si arriverà a una proposta vera, l’idea di Renzi è quella di alzare ancora le soglie. E così Alfano si agita.