«Alfano dovrebbe riferire sui fatti e poi dimettersi»
Intervista Erri De Luca: «Per avere giustizia ci vuole una protesta forte»
Intervista Erri De Luca: «Per avere giustizia ci vuole una protesta forte»
«Quello che è successo giovedì notte al Rione Traiano, un ragazzino non ancora diciassettenne ferito a morte da un carabiniere, accade anche in altri paesi del mondo e dell’Europa. Solo che, di solito, negli altri paesi il ministro dei Interni si presenta immediatamente a riferire sui fatti e poi dà le dimissioni». Erri De Luca è perentorio, la risposta dello Stato è stata del tutto inadeguata. Lo scrittore napoletano è convinto che ci sia una linea di comportamento costante, che si ripete ogni volta che rappresentanti dello Stato si trovano ad affrontare singoli o comunità, un comportamento fatto di diffidenza e tendenza a reagire con la repressione. Del resto Erri De Luca sta subendo un processo per aver dichiarato in una intervista che la Tav in Val di Susa andava sabotata «per far comprendere che è un’opera nociva e inutile». Come se fosse vietato persino discutere e mettere in discussione le decisioni del governo. Ma non è delle sue vicende personali che vuole parlare, piuttosto della lunga catena di episodi di cronaca che si ripetono da nord a sud, senza una reale assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni.
Erri De Luca, Angelino Alfano non sembra sentirsi in dove di intervenire
Sarebbe il caso che tornassimo a votare, visto che è il terzo governo non eletto che ci ritroviamo, e con rappresentanti scelti dal popolo cambiare il rapporto con le istituzioni. Lo Stato non è più forte, ha solo una maggiore inerzia, è un apparato appesantito che non sembra reagire o ha reazioni molto lente, inadeguate difronte a cose come l’uccisione di un un minore. È la sua inerzia che fa valere quando si confronta con il corpo sociale, con cui del resto ha un rapporto fatto soprattutto di sospetto.
Al Rione Traiano dello Stato non vogliono sentire parlare. Ieri alla manifestazione per Davide Bifolco c’era molta rabbia, la distanza con le istituzioni sembra essere cresciuta ancora
Non credo, la frattura tra i due mondi è già massima, di più non può aumentare. Del resto lo Stato ha una presenza sporadica nei territori di periferia. Più che altro organizza delle incursioni dirette su obiettivi precisi: raccoglie quello che può e poi si ritira al di fuori di quel territorio e non se ne cura più. Naturalmente, come in tanti altri casi, sale la richiesta di giustizia e verità ma l’unico modo per ottenerla è che la popolazione abbia una reazione talmente forte da non poter essere ignorata.
Tutti nel quartiere si chiedono come il carabiniere abbia potuto sparare a un ragazzino e come la sua morte possa essere liquidata come un fatto accidentale
Io non credo che si sia trattato di una reazione spropositata, l’estro incontrollato di un momento dovuto all’errore di un singolo. Credo invece che siano le regole d’ingaggio stabilite ed esercitate non in quel territorio particolare ma in tutta Italia. Non credo infatti che sia una storia napoletana, legata a una particolare condizione in cui vive il Rione Traiano. Non si tratta di un’area delimitata con regole differenti. È invece il modo esatto in cui le forze dell’ordine sono addestrate a comportarsi in quei casi. Il carabiniere ha agito in base a regole d’ingaggio e a un protocollo che utilizzano di norma quando si sentono in situazioni di pericolo, anche se poi un pericolo reale non c’è. Si tratta di un comportamento stabilito e accettato, incluse tutte le conseguenze del caso. Non un imbizzarrimento momentaneo.
Quindi secondo lei non c’entra la realtà sociale del Rione Traiano in quello che è successo?
Non considero quella zona particolarmente asociale o una realtà dove valgono regole differenti. Piuttosto quello è il tipo di rapporto e paradigma che lo Stato esercitata con le periferie, tutte le periferie in ogni parte del paese. Ad esempio, anche per la Val di Susa il governo ha deciso che vigono regole differenti da quelle democratiche e l’ha trasformata in uno stato d’eccezione, dove alcuni godono di impunità. Poi però, come nel caso Cucchi, avviene una cosa eccezionale, l’opinione pubblica ne fa un elemento centrale per il risveglio delle coscienze, una battaglia collettiva per la giustizia. Spero che quello che è successo a Napoli produca lo stesso effetto.
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