Ancora una volta il Pd salva Angelino Alfano, la stampella che serve a Renzi per tenere in vita il governo evitando le urne. E Forza Italia, che di elezioni anticipate non vuole nemmeno sentirne parlare, si accoda evitando di approfittare dell’occasione offerta dalla seconda mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro degli Interni.
Più che il patto del Nazareno, stavolta ha prevalso la comune necessità di tirare a campare, anche se per farlo è stato necessario sostenere un alleato sempre più difficile da difendere. Al punto che ieri pomeriggio, quando alla Camera si comincia a discutere la mozione di sfiducia presentata da Sel e M5S – e sostenuta da Lega e FdI – contro il responsabile del Viminale per gli scontri avvenuti il 29 ottobre durante il corteo degli operai dell’Ast, il premier si guarda bene dal farsi vedere lasciando ai ministri Orlando e Boschi il compito di affiancare il titolare degli Interni. E Alfano, che come all’epoca del caso Shalabayeva sa non poter essere scaricato senza provocare una crisi di governo, ne approfitta per replicare lo stesso copione offerto al parlamento il 30 ottobre, quando ha giustificato le cariche della polizia con il timore che gli operai delle acciaierie ternane volessero occupare la stazione Termini. Versione poi smentita dal video trasmesso su Rai Tre da Gazebo, ma non per lui. «Ho visto le immagini della trasmissione di Rai3 Gazebo e non smentiscono la ricostruzione dei fatti offerta da me in parlamento», afferma. «Era stato intimato l’alt, l’ordine non è stato ascoltato dal corteo ed è seguito lo scontro tra polizia e manifestanti».
Che il voto di ieri non avrebbe riservato sorprese era scontato. Anche i malumori interni al Pd sono prontamente rientrati, con l’unica eccezione di Pippo Civati che è l’unico a votare la sfiducia al ministro. Alfano parla in un’aula semideserta alla quale chiede di rifiutare «dietrologie» e alla quale, prima ancora di entrare nel merito delle accuse che gli vengono rivolte, ripropone l’immagine di un governo attento a garantire il diritto di manifestare. E ancora una volta cita le migliaia di manifestazioni che si sono tenute da quando lui è al Viminale, in pochissime delle quali – dice – si sono verificate delle violenze. «Negli ultimi 18 mesi – afferma – la memoria del Paese non conserva tracce di particolari incidenti».
Guai a far passare l’immagine di un governo che picchia gli operai. «Non c’è stata nessuna filiera di comando che ha agito con ordini precostituiti circa l’uso della forza. Respingo con forza questa immagine questa accusa ingiusta e umiliante nei confronti delle forze dell’ordine», dice il ministro. Certo, c’è quel funzionario di polizia ripreso dalla telecamera di Gazebo mentre dà l’ordine di caricare, ma Alfano ha una risposta anche per quello: «Un pugno di poliziotti veniva spintonato da un numero molto superiore di manifestanti nel tentativo di forzare il blocco e violare l’alt che gli era stato intimato – spiega -: si è visto e sentito come un funzionario di polizia, nell’intento di andare a supporto dei poliziotti che cercavano di resistere a una certa pressione dei manifestanti, abbia ordinato la carica». «Faccio presente ai finti distratti – prosegue – che non sono quelle le sole immagini che dopo i fatti sono state diffuse, soprattutto sul web. Altri particolari non secondari sono venuti alla luce grazie ai video su youreporter e youtube». Se ne evincono «diversità non solo materiali, ma anche politiche», quindi «nessuno può smentire la ricostruzione dei fatti operata dalla polizia» e la versione fornita fin da subito alle Camere «non ha bisogno di essere riveduta né corretta».
E poi comunque, è la conclusione a cui giunge Alfano prima di assolversi ed essere assolto dall’aula, se i diretti interessati, vale a dire Cgil, Fiom e sindacati di polizia, non hanno chiesto le mie dimissioni, vuol dire che tutto va bene.
La dinamica offerta da Alfano, però, viene smentita ancora una volta. «Non c’è stato alcun alt da parte della polizia», dice Emilio Trotti, un sindacalista della Fim-Cisl presente al corteo. «La carica è partita prima che ci avvicinassimo agli agenti»