La legge che introduce il reato di tortura è stata sepolta ieri. Rinviata sine die. Che una legge già in aula venga congelata sino a data da destinarsi è cosa tanto rara da rivelare in pieno la logica della scelta del Senato, appoggiata con tacito assenso dal governo: fare piazza pulita del reato di tortura. Del resto, la piena soddisfazione di tutti i capigruppo di destra, dopo la decisione della conferenza dei capigruppo del Senato, non lascia spazio a dubbi. E’ una sconfitta secca anche per il Pd, che certo non voleva vedere affondare la legge, ed è anche il passaggio che rende quello di Matteo Renzi un governo di fatto balneare. Si è certificato ieri che il governo ha sì una maggioranza per il voto di fiducia, ma è poi ostaggio della destra interna alla maggioranza su tutti i voti non coperti dalla questione di fiducia.

Era stato tutto il centrodestra, con l’Ncd in prima linea, a reclamare la conferenza dei capigruppo, subito dopo la commemorazione delle vittime di Nizza e usando strumentalmente proprio quella strage come alibi per chiedere di rimettere mano al testo, riportandolo in commissione. A quel punto, la voce su uno slittamento del voto a settembre circolava già largamente, smentita però sia dal ministro della Giustizia Orlando («Macchè. Ci stiamo lavorando proprio in questo momento») che dal capogruppo Pd Zanda («Auspico l’approvazione in tempi celeri»).

In effetti l’esito del consesso dei capigruppo non è stato quello previsto. Il ddl non è stata rimandato a settembre ma sine die: così si può avere la certezza assoluta che non vedrà mai la luce. «E’ gravissimo – commenta la presidente del Misto Loredana De Petris – ed è vergognoso usare Nizza come alibi. Così si dà partita vinta ai terroristi». Sul fronte opposto il presidente dei senatori leghisti Centinaio non la manda a dire e rintuzza di brutto il tentativo di Zanda di salvare il salvabile inventando un’inesistente possibilità di varare comunque il ddl prima della pausa: «Noi abbiamo fatto e faremo il possibile perché di questa legge se ne parli il più tardi possibile». Sarà proprio così.

A determinare la rotta del Pd sono stati prima lo schieramento di Alfano contro la legge di lunedì e poi, ancora di più, le dimissioni da capogruppo dell’Ncd rassegnate a sorpresa ieri mattina da Renato Schifani. Parole chiare: «L’oggetto sociale del nuovo centrodestra è stato disatteso. Il patto politico non è stato onorato. E’ venuto meno il pilastro. Ho votato le riforme solo per disciplina di partito». A certificare la fine del miraggio centrista, arriva subito dopo il comunicato di Cesa che schiera l’altra metà di Area popolare, l’Udc, a favore del No al referendum.

Per ora, però, Schifani resta come semplice senatore nell’Ncd, e altrettanto fanno gli 8 o 9 senatori che sono pronti a seguirlo nel ritorno all’ovile azzurro. E’ una perfetta mossa da guastatori, non a caso proprio quella che aveva suggerito Berlusconi quando Schifani lo aveva incontrato ad Arcore. D’ora in poi il governo non potrà essere sicuro su nessun voto, a parte quelli di fiducia. Anche perché nella disgregazione del mini polo centrista nulla impedisce che altri voti si accodino a quelli della pattuglia di Schifani. Senza contare che il peso specifico di Verdini è nel giro di 24 ore aumentato a dismisura.

In soldoni, il Pd si è arreso perché per far passare il ddl sul reato di tortura si sarebbe dovuto appoggiare ai voti determinanti dei 5S e della sinistra, cosa che voleva a ogni costo evitare. Per lo stesso motivo, dovrà ora congelare la riforma della prescrizione, osteggiata dalla destra come dai centristi interni alla maggioranza.

Di qui alla pausa estiva, di conseguenza, governo e maggioranza dovranno sforzarsi per fare il meno possibile, evitando ogni terreno scivoloso. Poi, finita la stagione dei bagni, arriverà il momento della resa dei conti. Si tratterà però di un appuntamento al buio. Nessuno può prevedere oggi quanto rapidamente procederà la decomposizione dei centristi, e quali effetti avrà sugli equilibri parlamentari. Si può in compenso dire che il governo e la maggioranza per come sono stati sinora non esistono più, e che Renzi si avvia ad affrontare il referendum nel peggiore dei modi.