Il giorno dopo l’agognato deposito dei 120 articoli della manovra arrivano puntuali le polemiche sul loro contenuto. Il clima pre elettorale amplifica i toni e porta perfino i centristi di Alfano a minacciare di «non votarla». Il governo è pronto ad affrontare il «suk parlamentare» ma l’assenza di una maggioranza reale – con l’uscita di Mdp – si porta dietro anche le conseguenze dei prossimi appuntamenti post-manvora: oltre allo Ius soli ieri Renzi ha ordinato ai suoi l’approvazione della norma sui vitalizi – sempre in chiave antigrillina – prima della chiusura della legislatura. Ma entrambe rendono il governo ancora più debole durante la sessione di bilancio. Soprattutto al Senato.
LA NOTIZIA DI GIORNATA è comunque la minaccia di non votare la manovra da parte di Alternativa popolare. In mattinata le parole di Lupi provocano un vero smottamento nella maggioranza: «Certo che una finanziaria così è difficile da votare. A parole tutti difendono la famiglia e sono preoccupati per il calo della natalità. Nei fatti la famiglia la bistrattano e i pochi provvedimenti a suo favore li annullano». Nel pomeriggio i toni sono più soffusi ma il solco è comunque tracciato: «La manovra dovrà essere radicalmente modificata: per quanto riguarda la famiglia non faremo passi indietro, ed anzi riteniamo che si debba fare molto di più a cominciare dal rifinanziamento del bonus bebe», dichiarano i presidenti dei gruppi parlamentari di Senato e Camera Laura Bianconi e l’ex ministro Maurizio Lupi. I due accusano il governo di aver cancellato il «bonus bebè» da 600 milioni fortemente voluto l’anno scorso dal loro ministro della Sanità Beatrice Lorenzin.
IL CAMMINO DELLA MANOVRA ieri ha segnato un primo strappo. Il presidente al Senato Pietro Grasso ha annuncia in aula lo stralcio di alcune norme contenute nella legge di Bilancio, così come proposto in commissione Bilancio col parere favorevole del governo. Dunque saranno eliminate dalla manovra finanziaria, del tutto o parzialmente, queste norme: quella sulla messa all’asta delle frequenze 5G), quella sui fondi alle associazioni dei partigiani cristiani (sic), sulla cybersecurity, la velocizzazione delle procedure esecutive, le norme sulle associazioni combattentistiche e l’equo compenso degli avvocati, in quanto prive di carattere finanziario – anche questo contestato dagli alfaniani.
NON SALTA INVECE LA NORMA che rende più facili le ristrutturazioni aziendali favorendo i licenziamenti e le dimissioni incentivate nelle aziende che chiedono la cassa integrazione straordinaria. La misura del cosiddetto «pacchetto lavoro» che era stata ribattezzata «norma Sky» è stata lievemente attenuata ma mantiene la sua pericolosità. La nuova modalità di gestione delle ristrutturazioni aziendali potrebbe interessare, dal 2018, circa 60mila lavoratori in cassa integrazione straordinaria. Dopo un accordo sindacale, su base volontaria, avranno la possibilità già durante la Cigs di inserirsi in un percorso di ricollocazione anticipato, incentivato dall’azienda, dalla detassazione. Il tutto sfruttando il contratto di ricollocazione caro a Pietro Ichino. «È una norma che deresponsabilizza le imprese che potranno puntare sulle dimissioni incentivate all’inizio della vertenza. Il tutto mentre sugli ammortizzatori il governo non ha fatto quasi niente in manovra», denuncia Tania Scacchetti della Cgil.