Alexi Zentner è uno scrittore canadese, nato nella regione dell’Ontario nel 1973, da tempo naturalizzato americano che dopo aver subito da ragazzo le violenze degli estremisti di destra, è cresciuto in una famiglia di attivisti antirazzisti ebrei, ha deciso di raccontare con Il colore dell’odio (66thand2nd, pp. 336, euro 18, traduzione di Gaspare Bona), il quotidiano di quell’America bianca intrisa di odio e violenza, ma anche di disperazione e senso di abbandono, che tanta parte sembra aver avuto nell’ascesa e nel successo politico di Donald Trump. A partire dal protagonista del romanzo, il diciassettenne Jessup, proveniente da una famiglia proletaria dello Stato di New York devota alle teorie del suprematismo bianco, i personaggi del libro paiono ricordare la folla di «piccoli bianchi» protagonista delle violenze di ieri a Washington.

Che idea si è fatto di coloro che hanno dato l’assalto a Capitol Hill?
Io li chiamo esplicitamente «terroristi». Molti sono già stati identificati come leader di gruppi vicini o apertamente legati al neonazismo. E l’attacco rispondeva agli incoraggiamenti in tal senso lanciati da Trump che ha flirtato fin dall’inizio del suo mandato con gli ambienti del suprematismo bianco. Si è trattato di un tentativo di porre fine alla democrazia americana e sostituirla con una dittatura e la colpa di tutto ciò dovrebbe essere attribuita a Trump e ai membri del Congresso che come lui hanno mentito sui risultati delle elezioni, dicendo che si è trattato di un «truffa». Se il presidente incoraggia a violare la legge, è probabile che i suoi seguaci lo ascolteranno. Come è avvenuto ieri a Washington.

Si ha però l’impressione che questi movimenti, e lo stesso «trumpismo» abbiano messo radici in un contesto sociale particolarmente difficile?
Uno dei messaggi del mio romanzo è che l’America ha deluso molti suoi cittadini. Costoro stanno cercando qualcuno da incolpare per il loro malessere, e il Partito repubblicano ha imparato l’arte di dare tutto ai ricchi e poi mentire agli americani e dire loro che le difficoltà che vivono sono state causate dagli immigrati e dalle persone di colore piuttosto che dai miliardari e dai legislatori che prendono le tangenti di questi ultimi per farne gli interessi. In questo senso, l’attacco al Campidoglio non ha nulla a che fare con «la difesa» del voto di novembre, come sostiene Trump, bensì con il tentativo avvenuto in questi ultimi quattro anni di legittimare in qualche modo il suprematismo bianco.

Il suo romanzo lo racconta in modo preciso, ma anche guardando ai fatti di ieri, cosa significa crescere in una famiglia con queste idee?
La maggior parte delle persone che hanno assistito all’assalto hanno pensato all’opera di estremisti di destra pericolosi. Ma per molti dei sostenitori di Trump – e per sua figlia che lo ha prima twittato e poi cancellato – quelli erano «patrioti». È difficile guardare con lucidità al mondo quando sei cresciuto immerso in una cultura dell’odio. Quando i tuoi genitori, la tua famiglia, il tuo pastore in chiesa, ti insegnano che il razzismo non è solo qualcosa di corretto, ma è una forma di lealtà verso i tuoi cari, è quasi impossibile vedere dove sta la menzogna. Il protagonista del mio libro sa bene, nel profondo del suo cuore, che il suprematismo è qualcosa di sbagliato, ma quando trascorri un’intera vita nell’oscurità, può essere molto difficile vedere una via d’uscita.

Gli assalitori di Washington rappresentano naturalmente un’esigua minoranza, ma che rapporto c’è tra costoro e i 74 milioni di americani che hanno votato per Trump?
Non puoi dire di desiderare la violenza e poi affermare di essere turbato quando viene messa in atto. Nel corso degli ultimi quattro anni Trump non ha fatto niente per dissimulare chi è o a cosa possano condurre le sue idee e i 74 milioni di americani che hanno votato per lui hanno detto di approvare entrambe. Poche migliaia di terroristi hanno attaccato il Campidoglio, ma credo si possa dire che ognuno dei 74 milioni di americani che hanno votato per Trump era lì nello spirito. Il trumpismo è diventato un’erba cattiva che ha invaso l’intero Paese, deve essere sradicata completamente per non provocare più danni.

Nelle immagini scattate durante l’assalto al Campidoglio si vedono alcuni agenti di polizia fraternizzare con i manifestanti. È un fatto che la stupisce o crede che le idee di Trump raccolgano molti consensi tra le forze dell’ordine?
Uno dei personaggi di Il colore dell’odio è un poliziotto che appartiene alla stessa chiesa suprematista del protagonista. Alcuni lettori non hanno gradito questo particolare, ma sfortunatamente il suprematismo bianco è radicato nelle forze armate e nei dipartimenti di polizia di tutto il Paese. E Trump ha ottenuto un ampio sostegno tra gli agenti. Negli ultimi decenni le forze dell’ordine si sono sempre più militarizzate. Sono state addestrate a vedere i civili – in particolare le persone di colore – come il nemico. Perciò, avere un presidente che dice loro quello che vogliono sentire, significa ottenere in cambio un ampio sostegno. Del resto, per capire come stanno le cose basta guardare la differenza tra la risposta degli agenti alle proteste di Black Lives Matters e quella che è stata data all’attacco a Capitol Hill da parte di una folla di estremisti quasi interamente bianchi.

Mai nessun presidente aveva incarnato in modo così radicale le idee dell’odio. Anche al di là del destino personale di Trump, cosa potrà accadere ora nel Paese? Come si potranno sanare almeno in parte le ferite inferte alla democrazia americana?
Non credo che il Partito repubblicano abbia alcuna intenzione di cercare di sanare le ferite inflitte ieri al Paese dai «terroristi domestici», perché hanno passato gli ultimi quattro anni a sostenere lo stesso presidente che ha incoraggiato quella violenza. I repubblicani hanno passato decenni a costruire una cultura dell’odio e dell’inganno, distruggendo il governo e poi dicendo agli americani di incolpare gli immigrati e le minoranze per quanto accaduto. Il mio romanzo racconta almeno in parte il modo in cui il sistema politico americano ha abbandonato la stragrande maggioranza della classe lavoratrice. Per i prossimi due anni Biden e i democratici hanno la possibilità di rimediare. Questo è un momento per politiche audaci e visionarie: veri cambiamenti che riguardino il sistema sanitario, le tasse, l’economia e il sostegno offerto all’americano medio e a coloro che si trovano in difficoltà. Ma ho ancora paura. Nel 2016 il Partito repubblicano ha spalancato le porte e Trump ha fatto irruzione nel «palazzo». Non so se il Gop potrà mai riparare il danno che ha causato. Ieri a Washington c’è stato un tentativo di colpo di stato incoraggiato da un presidente in carica. Voglio credere che ci sia ancora speranza, ma credo sia altrettanto possibile che ieri abbia segnato la fine dell’esperimento americano. A questo punto non sarò più sorpreso se l’America si dovesse trasformare in una dittatura durante la mia vita.