Lo si è conosciuto e amato come un folletto del pianoforte. In solo, sfoggiando prelibatezze avantgarde e sontuosità post-romantiche. Poi in tante combinazioni, dal duo in su, nei festival tipo Ai confini tra Sardegna e jazz. Comunicativo, eclettico ma con gusto sicuro. Mancava la sua definitiva consacrazione, dopo Unit(e) del 2017, come compositore e leader in un’impresa di musica d’assieme. Ora c’è. Alexander Hawkins con Togetherness Music (Intakt Records) si muove lungo il confine sempre instabile, ormai sfumato, forse cancellato, tra jazz di punta e scrittura «dotta». La scrittura è magari istantanea, gli spazi per l’improvvisazione ci sono. Ma la concezione dei sei brani che formano l’album è «orchestrale».
Hawkins ha precedenti importanti. Dalle immense conduction di Butch Morris all’Electric-Acoustic Ensemble di Evan Parker (ospite principale in questo disco), dagli ensemble larghi di Nicole Mitchell e di Roscoe Mitchell fino alla produzione per orchestra della nuova stella di questo cielo, Ingrid Laubrock.

ORA ENTRA in gioco lui e lascia il segno. L’organico che utilizza è di sedici musicisti e otto suonano strumenti ad arco: i due violini, la viola, il violoncello, il contrabbasso del Riot Ensemble, che ha un ruolo proprio, più una viola, un violoncello e un contrabbasso nel gruppo messo assieme da Hawkins con Aaron Holloway-Nahum come direttore del tutto. Il fattore timbro conta parecchio. Gli archi danno un sapore che difficilmente si trova in lavori di matrice avant-jazz: esaltano le dissoluzioni del suono, le tecniche microtonali, gli accenti sul divenire, sul perdere corpo dei suoni per acquisire un altro corpo, più aperto al desiderio e forse oltre il desiderio.

E PERÒ è importante notare che questa matrice si sente, che la natura di «nuova musica» senza specificazioni ulteriori di questi sei brani non annulla la pronuncia jazzistica.
Ensemble Equals Together e Ecstatic Baobabs sono i manifesti della raccolta. Nel primo le trasparenze dell’apertura portano alle sortite terrose-astrali di Parker e a una miracolosa proliferazione di suoni dell’orchestra. Il secondo è tutto degli archi, dei loro suoni «d’aria», e dell’elettronica. Ma l’inoltrarsi (il no hay caminos, hay que caminar di Nono) è l’estasi del pensiero, dell’attivazione di infiniti sensi. La maestria della scrittura d’assieme, scrittura del qui e ora follemente meditata, è grande.