*…I fratelli di Álex, Agustin e Javier, lo iniziano alla passione per i fumetti, i disegni e per Tintin. Álex comincia a disegnare fumetti a dieci anni. I suoi padri spirituali sono Álex Raymond, Stan Lee e Vázquez. In Spagna i comics della Marvel, venivano stampati e pubblicati su carta economica, in bianco e nero e in formato «libro», dove c’era spazio solo per due vignette per pagina (le tavole originali ne hanno molte per ogni pagina). Inoltre venivano ampliate le vignette aggiungendo dei disegni di dettagli a quelli originali e ingrandendo il balloon. Lo facevano per ottenere le dimensioni di un libro a partire da un semplice fumetto. Al liceo (nel collegio San Luis di Bilbao) de la Iglesia comincia a disegnare le sue prime vignette e a fotocopiarle per venderle ai suoi amici. Durante l’adolescenza si guadagna da vivere disegnando per diversi periodici e riviste. La sua prima rivista di cinema è Famosos monsters del cine, una versione spagnola di Famous Monsters of Filmland di Forrset J. Ackerman che era il più grande collezionista del mondo di foto­grafie e oggetti di cinema horror del passato. De la Iglesia, durante gli anni del liceo, inizia a collaborare con diverse riviste come Trokola, El Correo Español, Tribuna Vasca, Euskadi, La Ría del Ocío. Si laurea in filosofia all’università dei gesuiti di Deusto. Durante gli anni dell’università fa diverse conoscenze e amicizie tra cui il professore di filosofia antica, Jesús Igal. Il professore era un grande studioso del filosofo Plotino e aveva tradotto la sua opera completa, le Enneadi. Igal è di grande ispirazione per de la Iglesia e proprio a partire dalla sua figura costruirà il personaggio principale del suo secondo film, El dia de la bestia (Il giorno della bestia, 1995), un prete fuori dal mondo e dalla realtà, che, prima di arrivare nella metropoli di Madrid per combattere l’Anticristo, aveva sempre vissuto di studio e di preghierra. Anche Jesús Igal viveva all’interno dell’Università di Deusto, e non conosceva la televisione, la strada, il mondo. Eppure, aveva una visione del cosmo impressionante, frutto dello studio di elementi micorscopici della realtà che, per lui, erano macroscopici. Deciso a inserirsi nel mondo dello spettacolo, Álex de la Igle­sia lavora in televisione come scenografo ed è production designer della crime-comedy nerissima Todo por la pasta (1991) opera seonda del regista basco Enrique Urbizu. Da questa esperienza raccoglie le conoscenze necessarie per mettersi dietro la macchina da presa. (…)
El dia de la Bestia vince sei Goya, di cui uno per la miglior regia, e viene premiato ai festival di Gérardmer e Bruxelles. A Venezia e Toronto è accolto con l’applauso unanime di critica e pubblico e ottiene considerevoli incassi nelle sale europee durante la stagione cinematografica 1995-1996. Il lungometraggio parla dell’idea, presente in altre opere successive come per esempio La comunidad, che il demonio non è quell’essere terribile e pericoloso che ci hanno insegnato a temere, il demonio è il tuo vicino di casa. L’inferno sono gli altri, la gente comune. La città di Madrid diventa per la prima volta teatro del mistero, regno delle fantasie gotiche. Le fermate della metropolitana nella Gran Via, con i loro lividi annunci luminosi o le torri di KIO portano con loro un’inquietudine degna dell’unica capitale europea che ha una statua dedicata al maligno, il monumento all’angelo caduto (ángel caído). L’anticristo nasce nelle torri KIO, simbolo tanto del potere finanziario come della dittatura franchista e nel film diventano poi, piegate dagli sceneggiatori, anche simbolo di antiche premonizioni. Il film raccoglie, in una certa misura, un clima apocalittico che vive in quel periodo la Spagna, ma la sua genesi è piuttosto complicata: inizialmente de la Iglesia e Guerricaechevarría volevano realizzare un horror. Il film non aveva niente a che vedere con El dia de la Bestia e si chiamava El beso negro. In questo copione i due autori mescolavano i miti di Cthulhu con le loro esperienze come studenti di filosofia all’università, nel ricordo del professor Jesús Igal, specializzato in Plotino, che aveva segnato il loro percorso di studi. Il protagonista era una persona anziana, armata fino ai denti, un personaggio completamente lovercraftiano. El beso negro si svolgeva a Sestao. Il prete si spostava da Deusto a Sestao e in quel luogo c’era l’inferno dove si sarebbe incontrato con l’anticristo. El dia de la Bestia invece lavora di più sulla contaminazione dei generi e si prende bonariamente gioco dello spettatore. Il film usa il «genere puro» per lanciare un tema politico che dimostra, senza demagogia né moralismo, che il «male» autentico si trova all’interno della nostra società. Uno dei riferimenti più importanti, per la costruzione dell’atmosfera è L’inquilino del terzo piano (Le locataìre, Roman Polanski, 1976), anche se evidentemente diventerà un omaggio diretto nella realizzazione de La comunidad. In El dia de la Bestia i personaggi, sia quelli principali che quelli secondari, giocano un ruolo fondamentale: Álex Angulo, nella miglior performance di sempre, Santiago Segura, Terele Pávez, Armando de Razza, Jaime Blanch costruiscono una costellazione scoppiettante di personalità borderline. De la Iglesia e Guerricaechevarría si ispirano alla loro esperienza non priva di difficoltà nel trasferimento dai Paesi Baschi alla capitale spagnola dove vivono in una pensione modesta all’interno di un quartiere popolare che vede convivere le umanità più variegate. Personaggi e scenografie sono sovraccarichi, debordanti. Il regista teme l’horror vacui e vuole riempire il set e il copione di persone e di cose. Devono esserci azioni secondarie, devono esserci personaggi che vivono altre avventure mentre si svolge la narrazione principale. Commedia, humour nero, tradizioni ispaniche, immaginario satanico, estetica heavy metal, cinema del terrore: de la Iglesia riesce a controllare il mescolamento vorticoso dei generi ancora meglio di quanto non ha fatto nella sua opera prima. Il richiamo principale è a Lovercraft – non direttamente come scrittore quanto come riferimento del gioco di ruolo Call of Chtulhu. Il gioco, che si basa sui racconti di Lovercraft, genera personaggi stravaganti. Il giocatore, per vincere, deve far uso di moltissime armi da combattimento e avere informazioni su tutto, deve conoscere qualsiasi cosa, anche le lingue più remote come il sumero. Ma c’è un paradosso: se il giocatore è molto erudito, allora non sarà abbastanza abile e forte e quindi si trova costantemente a dover compiere una scelta tra sapere e forza. Questa contrapposizione ha generato l’idea narrativa del film: un personaggio che sa moltissime cose, che si arma fino ai denti, ma non ha alcuna capacità di autodifesa. Il film è cromaticamente dominato dai colori nero e rosso con forte valenza simbolica. Denuncia l’intolleranza, il razzismo, la violenza politica, la televisione spazzatura, le sette sataniche, i programmi esoterici. De la Iglesia fa nomi e cognomi dei personaggi che disprezza nella società contemporanea (…)

*Un estratto dal libro di Sara Martin «Streghe, pagliacci, mutanti, Il cinema di Álex de la Iglesia» (Mimesis editore) che sarà presentato nel corso del Premio Amidei