A Firenze un migliaio di persone ha manifestato giovedì conto la guerra, e oggi bisserà l’iniziativa (ore 17 piazza del Carmine). Nella città di Lorenzo «Orso» Orsetti – che combattendo contro l’Isis insieme ai curdi ha perso la vita – quello che sta accadendo è avvertito in modo particolare. Alla manifestazione di giovedì c’era come sempre il padre Alessandro Orsetti, che ha invitato a ulteriori mobilitazioni: «Non possiamo rischiare di vergognarci – ha ricordato – per aver voltato le spalle un’altra volta a quello che succede in quella regione del mondo».

Ha visto quante ragazze e quanti ragazzi c’erano al corteo verso il consolato Usa? Sembrava una iniziativa studentesca. Se lo aspettava?
È vero, ci sono sempre tanti giovani a queste manifestazioni. Penso sia perché sentono Lorenzo come uno di loro, un giovane uomo con gli stessi aneliti. Lui ha dato una scossa, ha mostrato che è possibile fare qualcosa. Ha rotto un argine. Si dice sempre che i ragazzi non hanno interessi, non vogliono impegnarsi e tirano a campare. Invece si danno da fare quando in gioco c’è una causa importante, un ideale da perseguire, dei valori da difendere

Già due anni fa la Turchia aveva tentato l’offensiva. Ora ci riprova, con il via libera di un presidente Usa contestato dal suo stesso partito…
È la follia dell’imperialismo, del capitalismo, di chi per il proprio interesse va e poi si tira indietro. Trump sta cercando di oscurare lo scandalo ucraino e la proposta di impeachment, e sa che il suo elettorato vuole che i soldati tornino a casa, e che non si spendano più soldi per queste guerre locali. Per lui il gioco vale la candela, anche se va a scapito di una pseudo alleanza fatta con le popolazioni curde. Del resto, poco prima di morire, Lorenzo mi diceva: ‘Siamo qui ad aspettare cosa faranno gli americani, perché probabilmente stanno progettando il ritiro. E appena andranno via, i turchi attaccheranno’. Insomma, tutti sapevano che era solo questione di tempo

Eppure non è stato fatto nulla per fermare la guerra. Quindi ci sono gravi responsabilità anche della comunità internazionale?
Ne sta facendo solo una questione di costi, politici ed economici. I curdi avevano già ventilato la possibilità di una zona cuscinetto e avevano offerto la propria disponibilità, anche perché stanno riorganizzandosi dopo la guerra all’Isis. Ma fare un piano di pace è faticoso, bisogna mettere tutti intorno a un tavolo. Richiede un cambio di paradigma. Più facile lasciare le cose come stanno, e ora cercare di fermare Erdogan. Si tratta di un costo minore, apparentemente, rispetto a quello di impegnarsi per un reale processo di pace.

Oggi ci saranno manifestazioni in tutta Italia, e ad esempio dalla Rete delle città in comune è stato lanciato un appello, sottoscritto già da più di cento tra sindaci e consiglieri locali, a sostegno del popolo curdo, con la richiesta alle istituzioni italiane, all’Onu, all’Ue e al Consiglio d’Europa, di fermare il conflitto.
Quando due anni fa manifestammo per Afrin non c’era tanta gente in piazza. Ora l’opinione pubblica è più informata, più consapevole di quanto sta accadendo. Mi piace pensare che gli italiani si siano sensibilizzati anche grazie al sacrificio di Lorenzo. Della sua storia, che ha colpito l’immaginario collettivo. Con la sua scelta di vita e la sua morte ha fatto conoscere la realtà che si sta costruendo nel Rojava, dove la democrazia che nasce dal basso, fondata sul rispetto delle diversità sociali e culturali, per una parità reale tra uomo e donna, sulla economia sociale, si sta affermando.