Alessandro Genovesi, segretario della Fillea Cgil, un anno dopo lo sblocca cantieri si torna alla carica per sospendere il codice degli appalti. Stanno usando la pandemia per realizzare un vecchio progetto?
È la nostra preoccupazione. L’anno scorso avevo definito quella proposta uno «sblocca porcate». Se qualcuno nel nuovo governo pensa di fare una nuova puntata di questa serie deve assumersi la responsabilità. Confido nella coerenza di chi all’epoca contrastò questo tentativo che oggi si ripropone. Vorrei ricordare che allo sciopero generale degli edili del 15 marzo 2019 parteciparono il segretario del Pd Zingaretti, l’attuale ministra delle infrastrutture De Micheli, esponenti di LeU, dei Cinque Stelle.

Chiamerete la mobilitazione nel caso sia questo il progetto?
Sì, con FenealUil e Filca-Cisl. Noi auspichiamo un confronto, abbiamo fatto e continueremo a fare proposte. Valuteremo quelle serie. I primi che vogliono lavoro siamo noi edili che abbiamo perso 600 mila posti negli ultimi anni. Ma se qui si sta pensando di derogare a tutto e creare una giungla ci mobiliteremo in tutte le forme possibile e non escludiamo nulla. Dipende fin dove vogliono spingersi. La pandemia non è una scusa per cancellare decenni di battaglie dei lavoratori.

Il decreto semplificazioni a cui sta lavorando il governo sarebbe una «terapia choc» contro la burocrazia che blocca, tra l’altro, i cantieri. Cosa pensa di questa descrizione della realtà?
Questo approccio ideologico e liberista non accelera le opere e rischia di peggiorare le condizioni del lavoro, della legalità e delle imprese. Ci sono dati freschissimi dell’Anac che dimostrano come, a due anni dalla riforma del Codice degli appalti, da settembre 2019 a gennaio 2020 è stato assegnato il tre per cento in più delle risorse, 11 miliardi di euro. Con la pandemia si è fermato tutto. Ma il codice funziona. Si può migliorare, non sospenderlo, o derogarlo ancora. Sono da escludere affidamenti diretti fino a cinque milioni di appalti o la liberalizzazione del subappalto. Oltre a essere dannose e ingiuste, queste pratiche svalorizzano le imprese.

È stato proposto di sostituire il codice degli appalti con le direttive comunitarie. È possibile?
Chi sostiene questo non sa di cosa parla. Le direttive sono tre: la prima è di 121 pagine e nove allegati; la seconda è di 297 pagine e 41 allegati; la terza è di 431 pagine e 16 allegati. Normano solo l’assegnazione degli appalti, non l’esecuzione, né il collaudo. Questa è la parte lasciata agli Stati. Se davvero fosse realizzabile questa proposta, avrebbe comunque bisogno della legge italiana per applicare le direttive.

Si parla del «modello Genova» per il Ponte Morandi. È applicabile a tutto il paese?
No, perché non è replicabile e non solo per una questione di principio. Ricostruire un viadotto crollato è diverso dalla costruzione di un’opera ex novo. In più il nuovo ponte è un premontato. Fare così un ponte non è come fare una galleria o un tracciato ferroviario. Va anche considerato che il progetto è stato regalato da Renzo Piano. Se lui è disponibile a regalare alle aziende altri 640 progetti sarebbe perfetto, ma temo che non sarà così. In più una delle aziende che l’hanno costruito, la Webuild, è partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti. La seconda è Fincantieri che è dello Stato. In più non si è badato a spese. Secondo i dati del Commissario Bucci i costi standard sono mediamente superiori del 30%. Era tutto in deroga, ma per realizzare l’opera Bucci ha sottoscritto due accordi sindacali per applicare una serie di articoli previsti dal codice degli appalti.

Ma gli appalti sono bloccati o no?
Lo sono sia perché abbiamo 30 mila stazioni appaltanti, contro le duemila tedesche, sia per la carenza di personale. Comuni e regioni hanno perso in dieci anni 15 mila figure tecniche. Non ci sono geometri, ingegneri, architetti a causa del blocco del turn-over. La ricostruzione nell’Italia centrale non parte perché spesso i comuni non hanno nemmeno un geometra, capisce? A Roma esistono 15 mila pratiche all’anno e cento tecnici. Questi sono supereroi. ro. ci.