Alessandro Dal Lago è scomparso a 75 anni nella notte tra venerdì 25 e sabato 26 marzo 2022. Curioso e poliedrico, sofisticato e polemico, è stato un sociologo e un filosofo di livello internazionale, per quarant’anni editorialista del nostro giornale.

Alessandro non amava le classificazioni accademiche. Di sé scrisse una volta con provocatoria ironia: «In base alle astruse categorie del Ministero della Ricerca e dell’Università sono definito un sociologo dei processi culturali». Alle logiche del potere che continuano a ispirarle attraverso l’agenzia di valutazione dell’Anvur, Dal Lago ha dedicato una critica spietata in un fortunato numero di Aut Aut, rivista fondamentale di cui è stato redattore dal 1980.

Con questo spirito scrisse anche Alma Mater, un libro di racconti (Manifestolibri, 2008), in cui raccontò la ragionata indocilità che dovrebbe accompagnare la critica e giustifica la presa di distanza dai ruoli nella divisione sociale del lavoro. A cominciare dall’università.

Nato a Roma nel 1947, da madre veneto-trentina e da padre romano di antiche origini albanesi, così recitava una leggenda di famiglia, è stato milanese fino a 48 anni e ha passato un’altra vita a Genova. Dal 2013 ha vissuto nell’amata Sicilia.

Ha pubblicato più di 40 libri e oltre 200 tra saggi e articoli. Una produzione sterminata che ha indagato il razzismo nelle pratiche culturali e sociali: gli stadi e il tifo in Descrizione di una battaglia (Il Mulino, 1990); il bellissimo e ispirato La città e le sue ombre. Crimini, criminali, cittadini (un’epopea su Genova scritta con Emilio Quadrelli, Feltrinelli, 2003); l’arte e il mercato dell’arte con Serena Giordano (ad esempio, Mercanti d’aura, Il Mulino, 2006); l’aspra polemica letteraria di Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee (Manifestolibri, 2010) fino al più recente e originale Sangue nell’ottagono. Antropologia delle arti marziali miste (Il Mulino, 2022).

Non posso dimenticare la lunga ricerca collettiva, alla quale ho avuto la fortuna di partecipare, sulle guerre «contro il terrorismo globale». Ne scrisse in Le nostre guerre (Manifestolibri, 2010). Un libro da rileggere per comprendere le ragioni profonde del clima militarizzato in cui, anche oggi, siamo piombati dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Fine studioso delle opere di Georg Simmel, Hannah Arendt o Michel Foucault, Dal Lago ha amato la Germania e ha rinnovato l’attitudine francese dell’intellettuale critico che non sopportava «una certa idea un po’ tronfia e supponente di filosofia. A differenza di una folla di miei coetanei intellettuali, professori o opinionisti che da giovani urlavano slogan truculenti e nel corso degli anni si sono trasformati in consulenti di Berlusconi, io sono rimasto un po’ sessantottino – scrisse ne I Benpensanti. Contro i tutori dell’ordine filosofico (Il Melangolo, 2014) – Anzi direi anarchico, seppure con la a minuscola, perché non ho mai militato in un movimento specifico, e tanto meno sono mai stato iscritto a un partito. Anarchico in un doppio senso: politico, certamente, e quindi diffidente verso stati, polizie, confini, e filosofico nel senso dell’an-archia, cioè della lontananza da ogni arché o principio ordinatore». E aggiungeva, con Marx: «Solo i movimenti reali, in altri termini le lotte sociali, possono cambiare il mondo».

Più di una generazione di militanti antirazzisti e ricercatori critici si è formata su un altro libro formidabile: Non persone (Feltrinelli, 1999). Alessandro lo scrisse mentre partecipava all’esperienza di «Genova Città Aperta». Strumento per comprendere le attuali politiche dell’immigrazione, in questo testo troviamo una critica vibrante del «pensiero di Stato» che identifica un nemico reale o potenziale nell’«altro», lo costruisce come una «non persona» alla quale sono negate le garanzie di diritto e di fatto. Tale costruzione è funzionale alla creazione di quel «noi» che oggi si esige a destra o a sinistra, all’interno e all’esterno.

«Non sono immune da un certo spirito polemico nei confronti della cultura di sinistra in cui mi riconosco» scrisse un’altra volta. Alessandro l’ha invitata a concepire e praticare la vita come una pluralità, cioè l’articolazione di una condizione ugualitaria e singolare, in altri termini comune.

A Serena Giordano, e a tutti coloro che gli hanno voluto bene, un grande abbraccio dal collettivo de Il Manifesto.