Simbolicamente potrebbe partire dal 2 ottobre del 2010 la durissima crisi di Alessandria, seppur le sue radici siano molto più profonde. Quel giorno chiuse i battenti il teatro comunale (le serrande sono tuttora giù), dopo che una pioggia di polvere bianca precipitò sulle giacche e sulle teste degli orchestrali del concorso musicale Pittaluga, impegnati nelle prove. Si trattava di una «nube d’amianto», scoprirà l’Asl, dovuta a una maldestra bonifica dell’impianto di riscaldamento. E fu una delle prime grandi grane che dovette affrontare l’ex sindaco Piercarlo Fabbio, Pdl, eletto con cifre bulgare nel 2007 (63%) e travolto dagli scandali nel 2011. Attualmente è sotto processo, insieme all’ex assessore al bilancio Luciano Vandone e all’allora ragioniere capo di Palazzo Rosso, Carlo Albero Ravazzano, con l’accusa di falso, abuso d’ufficio e truffa ai danni dello Stato per aver modificato il bilancio consuntivo 2010 di Palazzo Rosso ai fini di farlo rientrare nel patto di stabilità. Ed è così precipitata velocemente anche la sua «Alessandria da bere», segnata da sprechi, finanza creativa e clientelismo.

Il Comune dichiara il dissesto

A succedergli, Rita Rossa (Pd) che nel 2012 ha sconfitto l’ex sindaco, incassando il 68% e la speranza di cambiamento dei suoi concittadini. Dopo pochi giorni dal suo insediamento, in seguito al pronunciamento della Corte dei Conti (che già nel novembre del 2011 aveva rilevato irregolarità finanziarie), ha dichiarato il dissesto a fronte di un buco di bilancio di 150 milioni di euro lasciato dalla precedente amministrazione. «Per obbligo non per scelta» aveva spiegato al manifesto. I mesi successivi non sono stati facili. Anzi. Le tasse, come impone la legge, sono al massimo. E i lavoratori delle partecipate del Comune, che più si sono mobilitati, rimproverano al sindaco Rossa di aver dimenticato lo slogan della sua campagna elettorale: «Nessuno sarà lasciato indietro».

Cala il sipario

Grigio, maestoso e, ora, non poco cupo, il teatro racconta meglio di altri lo smarrimento di Alessandria, primo capoluogo di provincia italiano fallito. Città rassegnata ma che in un angolo seppur nascosto della sua anima spera di rinascere, come il grande palcoscenico di riaprire. I 15 dipendenti della Fondazione Tra (Teatro Regionale Alessandrino) sono in cassa integrazione in deroga (rinnovata trimestralmente) e si incontrano ogni quindici giorni per non perdersi di vista. Antonio Grimaldi faceva l’operatore cinematografico, scuote la testa: «Se la situazione non si sblocca e non riuscirò a pagare il mutuo, mi pignoreranno la casa, comprata solo un anno prima del fattaccio». Negli ultimi tempi, gli addetti sono stati richiamati per brevi periodi. «L’amministrazione comunale, proprietaria del teatro, dice che sta pensando anche a noi – raccontano i lavoratori – ma non ci basta il pensiero. Ci auguravamo, in realtà, che qualche altro socio della fondazione, la Regione Piemonte o il Comune di Valenza, si occupasse della nostra situazione. Invece, niente. Portavamo avanti un teatro intero, abbiamo tutti precise professionalità, non possiamo essere condannati al limbo della rassegnazione».
Fuori dallo stabile, Stefano Bianco indica i nuovi uffici dell’ex Aspal, la partecipata multiservizi in liquidazione, i cui rami sono stati in buona parte trasferiti all’azienda speciale Costruire Insieme. I locali sono stati temporaneamente spostati nell’unica ala esclusa dalla bonifica amianto. Stefano, come i suoi 75 colleghi (una parte in cig), non c’entra col teatro. È un animatore della Ludoteca comunale, anche se ultimamente lavora nel progetto Extrascuola: «Il timore è quello di passare da una cassa da morto chiusa, l’Aspal, a una che chiuderà prossimamente. Non c’è, finora, nessun budget stanziato. Sosteniamo, invece, che quei servizi non ritenuti essenziali dalla legge sul dissesto (dall’informagiovani alla mediazione culturale) possano, invece, essere una risposta alle diseguaglianze sociali aumentate in questo periodo». Alessandra Icardi lavora nell’appena riaperta ludoteca di via Verona, un pezzo di quella città a misura di bambino che la crisi ha messo a dura prova. Quasi ogni giorno percorre le strade del centro e non è raro che si metta a contare una nuova serranda di negozio abbassata: «Lavorare a stretto contatto con le persone, famiglie e bambini, ti dà l’idea di come soffra la città. E di come Alessandria stia vivendo una spirale involutiva. La percezione è che tutto sia precario e in difficoltà. Anch’io ho fatto una scelta radicale, con mia figlia sono tornata a vivere in campagna dai miei genitori, non riuscivo più a sostenere le tasse al livello massimo».

Emergenza nidi

Un po’ di ottimismo se lo vuole concedere Sara Toson, giovane educatrice. Precaria lo scorso anno scolastico nei nidi comunali gestiti da Costruire insieme, quest’anno, senza più impiego, il lavoro se l’è dovuto reinventare. «Ho partecipato alla lotta delle Operatrici che non si arrendono con le 65 precarie, tra educatrici e cuoche, negli asili. Non è che mi sia arresa, è che ho perso il posto. Cosa ben diversa. Ora, insieme ad alcune colleghe abbiamo fondato una piccola associazione che propone progetti di animazione. Non è facile, ci proviamo. Avrei potuto andarmene via da qui, ma non ho lasciato Alessandria perché ripongo ancora un po’ di fiducia in questa città». Nell’estate 2013 le iscrizioni ai nidi sono diminuite da 250 a 150 bimbi e sono stati chiusi tre asili comunali: ne sono rimasti aperti sei (uno – il Gatta miao – era stato cancellato già nel 2012). «Vari i motivi del calo: la crisi economica, l’aumento delle rette, il clima di incertezza sui servizi educativi, l’assente o confusa promozione da parte dell’istituzione. E penso che abbiano inciso anche due anni di battaglie. Avremmo forse dovuto costruire una rete maggiore con le famiglie per condividere meglio i motivi della protesta» racconta Gianna Dondo, educatrice e rsu Cgil, una delle reinternalizzate, le dipendenti di ruolo tornate in comune dopo l’esperienza in Costruire insieme.
Il nodo sulla legittimità dell’azienda speciale è durato mesi prima di essere sciolto: secondo una recente sentenza della Corte costituzionale può esistere purché comporti un risparmio di almeno il 20% per il comune. «Ciò che più mi dispiace è che si sia infranta l’illusione delle nostre colleghe precarie ventenni, rimaste a casa. E di questo è responsabile la maggioranza Rossa. Noi avevamo costruito solidarietà, mentre l’amministrazione lavorava in senso inverso. Continueremo a farlo e per questo è nato Colibrì, comitato di utilità sociale con lo scopo di sostenere lavoratori in difficoltà occupazionale e di reddito».
A rimanere a casa sono anche le 28 cuoche precarie dei nidi. «La sindaca non ha mantenuto le promesse – dicono in coro Concetta, Patrizia, Franca e Teresa, che di anni di precariato ne ha 27 -, ci ha lasciato indietro nonostante gli anni passati in attesa di stabilizzazione, dove abbiamo sempre coperto posti vacanti, seppure fossimo assunte per colmare il fabbisogno giornaliero (le sostituzioni di malattie). Ora, siamo disposte a lavorare anche part-time e a concorrere alle graduatorie per il personale Ata di terza fascia. Aspettiamo risposte, speriamo non invano».

I conti non tornano

Il settore manifatturiero vive da anni un declino, senza servizi – il timore della Cgil – è che se ne vadano via anche le industrie rimaste. Il 15 ottobre è la data di scadenza, salvo ulteriori proroghe, per la presentazione del piano stabilmente riequilibrato 2012/2013 da parte dell’amministrazione. Giorgio Abonante, capogruppo Pd in consiglio comunale, difende le scelte della maggioranza, contestate da lavoratori e sindacati. Rigore sì, ma non da tecnocrati. «Stiamo risanando, eliminando sprechi, senza bramosia da tagliatori di teste. Se cristallizzassimo attualmente i conti otterremo uno sbilancio tra i 6 e gli 8 milioni, che è un buon risultato rispetto ai 46 da cui partivamo. Ma non significa ancora pareggio, per questo chiederemo più tempo al ministero degli Interni. E che non ci sommi all’attuale situazione di dissesto (con le obbligate tariffe esagerate), le sanzioni per l’uscita dal patto di stabilità, che pesano sulle casse per 19 milioni». Rispedisce, poi, al mittente le recenti critiche di Susanna Camusso («dichiarando il dissesto la città ha scelto di auto-condannarsi» ha detto la segretaria della Cgil) che hanno aumentato il solco tra sindacato e Pd: «Sbaglia. Le scelte di rispetto della legalità fatte dal centrosinistra alessandrino non avevano alternativa. Erano inevitabili, il nostro dissesto è stato sancito dalla Corte dei conti, la legge sul pre-dissesto al tempo non c’era ancora, è dell’ottobre 2012. E chi si appella a quella, o non sa o dice il falso». Filippo Zaio, capogruppo Insieme per Rossa, – renziano senza tessera – sul rapporto con le parti sociali è diretto: «Si è perso fin troppo tempo nel dialogo. Siamo tutti in una situazione nuova, noi e il sindacato. Ora, contemporaneamente al risanamento, dovremmo iniziare a comunicare che ci sono possibilità di rilancio e sviluppo». Da dove partire? Abonante: «Ricordiamo l’eccellenza ospedaliera e partiamo dalla presenza di un’università e dal nodo strategico di Autozug (il servizio di auto e moto al seguito delle Ferrovie Tedesche) per rilanciare insieme la vocazione logistica della città, naturale retroporto di Genova, facendo rete con le aziende del territorio. Potremmo un domani essere il territorio adatto per un’eventuale spostamento dell’aeroporto del capoluogo ligure». Tra i diversi intenti si solleva un grido comune: Alessandria non deve morire.