Raccontare attimi di una vita così complessa attraverso la musica è un’operazione zeppa di incognite. Dopo il disco ispirato ai film di Fassbinder, Alessandra Novaga pubblica I Should Have Been A Gardener (Die Schachtel), in cui al centro ci sono gli ultimi mesi di Derek Jarman. Il regista che, come in un atto di sfida, fece sbocciare un giardino in un terreno sabbioso mentre lentamente si spegneva, qui scrisse il diario Modern Nature. Di per sé già una metafora potente.

UN DISCO meno visivo, che non riempie lo spazio, solo a tratti lo si potrebbe pensare una colonna sonora, anche la chitarra (strumento principale della Novaga) resta sommessa e rispettosa: «Che anche questa volta sia un regista è un caso. Jarman è arrivato per via del suo diario. Cerco tutta la letteratura che gira intorno al giardino, dai paesaggisti filosofi come Gilles Clement o Marco Martella, ai giardinieri storici come Vita Sackville-West. Negli scritti di Jarman trovi la morte ma anche l’impegno politico, il suo amore per la letteratura, la vita con gli amici, l’amore, il sesso, l’assenza di rimpianti, l’onestà e la forza morale che incarna soprattutto quando rivendica la sua identità queer».

E PROSEGUE: «L’avvicinarmi a quest’uomo mi ha dato più coraggio. È vero che nella musica ho eliminato quello che risultava superfluo, ho tenuto le ossa di quelle musiche che hanno ispirato lui e quelle che ho composto stimolata dalla sua aura». Mentre Jarman faceva sopralluoghi per il film The Last Of England si innamorò di questa casa di legno a Dungeness nel Kent, dove poi visse gli ultimi anni della sua vita e che Alessandra ha visitato: «Dovevo andarci. Delle musiche qualcosa esisteva già, tanto che ho voluto ascoltarle lì per capire se le ritrovavo in quel contesto dove si ha la sensazione di essere a un’estremità del mondo. Questi cottage che brutalmente si avvicendano uno dopo l’altro senza recinzione, un lato che dà sulla strada e l’altro che dà su un terreno sconfinato di ciottoli che hanno come orizzonte una grigia, immensa, centrale nucleare. Ho sentito la sua presenza aleggiare, ci andavo la mattina presto, al tramonto, quando era buio. Ancora sono lì, se chiudo gli occhi». Anche la veste grafica dell’album è notevole, con un vinile dello stesso giallo delle finestre della casa di Jarman e un booklet con gli scatti di Howard Sooley, amico che lo fotografò a Prospect Cottage: «Howard è stata la prima persona a cui ho inviato il master perché avevo bisogno di una sorta di benedizione. E per fortuna l’ho avuta. Solo sapere che ascoltando The Wound Dresser di John Adams (rielaborata nel disco, ndr) gli ha ricordato di quando lavoravano insieme al giardino, mi ha fatto piangere».

E CHIOSA: «Per un attimo mi sono sentita in intimità con quanto succedeva in quei giorni. Così ho avuto il coraggio di chiedergli le foto, rendendo il disco più suggestivo. Poi Bruno Stucchi, uno dei due produttori di Die Schachtel, ha creato un concept grafico capace di restituire in modo poetico l’immaginario che mi ha guidata fin qui».