Nel 1919, avviando la cronaca della sua fuga dalla Russia in fiamme, Ol’ga Pavlovna Shuvalova, coniugata Olsufieva, scrive: «Note gettate sul quaderno, trasportate in balia del vento, sollevate dalla tempesta… foglie d’inverno, strappate al bell’albero un tempo così forte», quasi a instaurare un parallelo con le ceste delle Foglie cadute di Vasilij Rozanov che, di lì a poco, nella sua Apocalisse del nostro tempo scriverà a proposito della rivoluzione: «Con uno stridio, un sibilo, un grido, cala sulla storia russa un sipario di ferro».

La nipote di Ol’ga Pavlovna, Alessandra Jatta, partendo dalla cronaca della nonna scritta in francese, scrive in Foglie sparse (Voland, pp. 223, € 17,00) il racconto di quella fuga, ricostruendo tra documentarismo e invenzione narrativa i passaggi biografici della protagonista, i suoi stati d’animo, il turbinio dei suoi sentimenti, alla luce degli eventi storici dalla partenza dalla villa di famiglia a Ershovo nell’agosto del 1917, fino all’arrivo a Firenze nel marzo del 1919.
Gli Olsufiev erano all’epoca una delle famiglie più importanti della Russia, imparentata con altre grandi famiglie della nobiltà e introdotta alla corte dello zar. L’antenato più illustre, Adam Olsuf’ev, mecenate e letterato, era stato segretario di stato di Caterina II, e nel corso del suo racconto l’autrice fornisce interessanti notizie sulla storia del casato. Ugualmente importante era la famiglia degli Shuvalov, il cui capostipite Ivan era stato uomo politico, mecenate e favorito dell’imperatrice Elizaveta Petrovna. Sullo sfondo dei destini delle due famiglie, la Russia della fine del XIX secolo e poi dell’inizio del XX secolo nei turbolenti anni delle guerre e delle rivoluzioni, quando il generale maggiore Pavel Shuvalov, comandante della polizia di Mosca, era caduto vittima di un attentato nell’aprile del 1905.

Alessandra Jatta descrive con precisione psicologica e storica tutte le fasi di un viaggio che acquista i tratti dell’epopea. Prima che la Russia si incendi definitivamente Ol’ga Petrovna con i cinque figli piccoli abbandona la campagna giungendo in una Mosca resa spettrale dall’imminente, quasi presagito cataclisma dopo il fallimento della politica di Kerenskij.

Tra l’angoscia per il presente e una profonda nostalgia per una vita oramai evanescente, in una sorta di recherche nella quale gli oggetti e gli ambienti della vita trascorsa e di un mondo in declino riaffiorano alla memoria, richiamata dal marito militare sul Caucaso, la donna con i figli parte per Kislovodsk e poi tra molteplici peripezie, l’epidemia di febbre spagnola, via Krasnodar e Batumi, si imbarca per Costantinopoli. Ai piccoli dettagli della quotidianità del viaggio fanno da contraltare le notizie che giungono dal fronte e da Pietrogrado, la presa del Palazzo d’Inverno, l’avanzata dei bolscevichi e poi i prodromi della guerra civile. Gli Olsufiev avevano dei possedimenti a Firenze, città nella quale risiedevano già dal XIX secolo numerose famiglie nobiliari russe, dai Buturlin ai Demidov, agli Zakrevskie, fra le altre. Via Atene e poi via Taranto il viaggio avventuroso di Ol’ga Petrovna si conclude felicemente.

Al di là dei dettagli narrativi e degli spunti biografici l’autrice si stacca dal biografismo documentario e riesce a offrire ritratti e descrizioni convincenti dei personaggi, delle ambientazioni, dello svolgersi degli avvenimenti, in uno stile avvincente e essenziale, con una alternanza di toni capace di suscitare una forte empatia. Il racconto è accompagnato da una serie di foto e immagini la cui descrizione rende ancora più concreto il fluire narrativo tra memoria e invenzione.