Due corpi si intrecciano. Due sguardi si cercano in un flusso di movimento abitato dalla musica. Ha un mood speciale Trio ConcertDance, serata che ha riportato in Italia Alessandra Ferri, étoile della danza unica per il mix autentico tra tecnica e passione, in scena con Herman Cornejo, Principal Dancer dell’American Ballet Theatre e sensibile partner, e con Bruce Levingston, pianista dal tocco magicamente poetico, osannato a ragione dal New York Times. Lo spettacolo ha debuttato in prima mondiale due sere fa al Regio di Parma per ParmaDanza 2015, repliche ieri al Comunale di Modena e stasera al Ponchielli di Cremona. Un progetto che i tre artisti hanno concepito insieme e che potrà aprirsi in futuro ad altre collaborazioni.

Palcoscenico buio, con Levingston, al pianoforte. Si inizia con Ligeti, Musica ricercata n.1, quasi un prologo al primo pezzo di danza, Flair, coreografia di Demis Volpi, Musica ricercata n. 2, linee appuntite per il duo creato su Ferri e Cornejo, già parlante nella relazione dei lifts e delle prese tra i corpi.

La musica si alterna, sola, ai momenti in cui viaggia con la danza. Vibra nella serata un respiro comune tra movimento e suono. Levingston suona Étude n. 2 di Glass, Sonata in la minore di Scarlatti, Fang-Yi Shen, a lungo danzatrice della Martha Graham Dance Company, sceglie Bach per le coreografie dei suoi due pezzi, il primo duo, Run in To, è quasi uno scherzo, sulla Toccata in re maggiore, l’assolo per Ferri, Senza tempo, è un piccolo cammeo sulla femminilità e sul percorso di un’artista tornata magnificamente a danzare.

Segue Dentro, meditativo assolo di e Cornejo sulla Gnossienne n. 4 di Satie, sorta di contraltare al pezzo precedente. Ma è a questo punto della serata che quella sensazione di un viaggio a tre voci tra danza e musica e coreografia ha il suo momento più alto. Étude n. 5, Étude n. 6, torna Philip Glass, di cui Levingston è un interprete sopraffino, una dinamica di travolgente intimità che porta verso Entwine di Russell Maliphant, duo su Metamorphosis n. 2, sempre di Glass. Accarezzati dagli spazi definiti dalla luce, tipici del coreografo inglese, Ferri e Cornejo danzano nell’ombra, vestiti di nero. Braccia e spalle nude, il movimento si avvolge e riapre in flussi di energia a spirale, pieni di estatici rallentandi, in cui la sensualità è qualcosa di vissuto nel corpo e nella musica, non ostentato, semplicemente presente.

Il Notturno in si bemolle minore op. 9, n. 1 di Chopin fa da ponte al duo finale da Le Parc, di Angelin Preljocaj, sul Concerto n. 23 di Mozart, accanto a Levingston, i Solisti dell’Opera Italiana. Unico pezzo non creato su Ferri e Cornejo, ma sempre di grande presa emozionale, Le Parc, con quel giro su se stessi legati da un lunghissimo bacio, completa una serata dal gusto raro: Alessandra Ferri porta in scena un pensiero sulla danza e sul suo rapporto con la musica che non ha nulla a che vedere con l’esibizionismo tout court, ma con la verità della presenza. Brava.