Terzo accordo in meno di una settimana: dopo la rottura di venerdì mattina, ieri una nuova tregua è entrata in vigore ad Aleppo. Si rilancia il trasferimento a Idlib dei miliziani islamisti, sebbene ieri sera autobus e ambulanze non avessero ancora ripreso a muoversi. Fuori dai quartieri orientali sarebbero stati già condotti anche 8mila civili, ma restano decine di migliaia quelli intrappolati in una zona priva di cibo, acqua e servizi medici, costretti nel freddo dicembrino.

Secondo Hezbollah, del patto fanno parte anche i villaggi sciiti di Fua e Kefraya, nella provincia di Idlib, e le città di Zabadani e Madaya, al confine con il Libano. Tutte comunità che subiscono da anni un duro assedio interno (controllate dai qaedisti dell’ex al-Nusra) e esterno, con il governo che preme dalle periferie. Confermano anche i gruppi anti-Assad: l’accordo prevede l’evacuazione di 4mila civili feriti dalle quattro comunità.

Chi invece sembra restare dentro Aleppo è l’ex al-Nusra, ribattezzatasi Jabhat Fatah al-Sham nella speranza di togliersi di dosso il marchio di al Qaeda: secondo fonti locali sarebbero 6mila i jihadisti ancora presenti. È lo stesso gruppo che ha guidato la mista galassia di liberali, salafiti e islamisti nelle controffensive dei mesi scorsi e usato i civili come scudo con un obiettivo diverso da quello della democrazia. Mai le milizie islamiste e jihadiste hanno nascosto lo scopo che le muove: la creazione di un regime sunnita, un califfato fondato sulla Shari’a.

Ed è lo stesso gruppo che accoglie i miliziani fuoriusciti da Aleppo nella provincia nord-occidentale di Idlib, che controlla quasi del tutto da oltre un anno. E se alcuni media occidentali sono arrivati a definire Idlib una novella Gaza, assediata e prigioniera, paragonando nella fiera dell’assurdo civili palestinesi a miliziani islamisti, la realtà che si sta generando è quella di un’enclave jihadista circondata da territori in mano al governo.

Resta da capire se Mosca e Damasco si lanceranno su Idlib aprendo un nuovo fronte nell’obiettivo di finire definitivamente la questione al-Nusra. Una possibilità che potrebbe essere rinviata al futuro per evitare rotture con la Turchia che sostiene molti dei gruppi presenti ad Idlib e che è allo stesso tempo parte del nuovo negoziato che i russi vogliono lanciare entro dicembre. Secondo l’analista russo Naumkin, consigliere dell’inviato Onu de Mistura, Putin potrebbe optare – come lui stesso ha paventato – per una riduzione dell’impegno militare per aprire al dialogo con alcuni membri delle opposizioni.

Le contraddizioni strutturali del conflitto non vengono meno. Basta guardare al fuoco aperto ieri dai soldati turchi alla frontiera contro un gruppo di rifugiati da Aleppo. Ne hanno uccisi tre, perché quelli che vogliono accogliere sono i miliziani, non i civili. Per questo ipocrite appaiono le parole che il presidente Usa Obama ha dedicato alla Siria nel suo ultimo discorso alla Casa Bianca, venerdì sera: «La responsabilità di questa brutalità sta in un posto solo, nel regime di Assad e nei suoi alleati russo e iraniano. Il sangue e le atrocità sono sulle loro mani».

Il sangue, in realtà, è sulle mani di tutti. Gli Stati Uniti hanno volontariamente acceso la guerra civile, rifornendo di armi e denaro i primi gruppi di opposizione presto scomparsi dal campo di battaglia per fare spazio alle più potenti milizie jihadiste sponsorizzate da Ankara e Riyadh.

Washington ha continuato ad addestrare i cosiddetti “ribelli” tramite Cia e Pentagono, con programmi da miliardi di dollari e un rifornimento continuo di armi che ha allontanato la soluzione politica della crisi. Ha creato gruppi (come il New Syrian Army) che poi hanno aderito ad al Qaeda o all’Isis e dato legittimità ufficiale e ufficiosa a gruppi salafiti e ai qaedisti di al-Nusra, che facevano incetta degli armamenti destinati ai gruppi considerati legittimi.

Ha creato le opposizioni politiche riunite dentro la Coalizione Nazionale, completamente separata dal popolo siriano ma che ha bloccato il negoziato con boicottaggi continui prima di sparire dalla scena. E infine ha indebolito alla radice gli Stati-nazione, artificialmente creati un secolo fa dal colonialismo europeo, aprendo la strada all’avanzata della macchina da guerra dell’Isis. Il sangue di Aleppo è sulle mani di tutti.