I boati della guerra risuonano feroci sopra Aleppo: ieri gli scontri tra esercito governativo e opposizioni sono proseguiti nella zona nord della città. Se 350mila civili rimangono intrappolati tra i due fuochi, decine di migliaia tentano la fuga. Ma restano anche loro in trappola, bloccati al valico di Bab al-Salama, la Porta della Pace, nome dalla tragica ironia.

Sarebbero saliti a 35mila i siriani al confine con la Turchia. Nonostante le pressioni dell’Unione Europea, Ankara non li fa entrare: «Le nostre porte non sono chiuse ma al momento non vediamo la necessità di ospitare queste persone dentro il nostro territorio», lo scarno commento del governatore turco della città di frontiera Oncupinar.

Bruxelles, che invierà tre miliardi di euro al governo turco per l’accoglienza dei profughi siriani, alza la voce: il commissario Ue all’Allargamento Hans ha ricordato alla Turchia gli obblighi internazionali previsti dalla Convenzione di Ginevra, aprire le frontiere ai rifugiati di guerra. Quelli che l’Europa non vuole e che affollano i paesi mediorientali, molti al limite delle capacità di accoglienza.

E a pagare le dinamiche regionali e internazionali sono i civili: i volti catturati dai fotografi alla frontiera turco-siriana raccontano disperazione, rassegnazione. Aleppo ha paura perché sa di essere la preda più succosa della guerra giocata in Siria. I due fronti, ormai lontanissimi dal tavolo del negoziato, parlano la lingua militare e si scambiano accuse che in molti temono si tradurranno in uno scontro reale. Senza dimenticare che l’Isis è alle porte, nei quartieri periferici a est, tenendo in ostaggio intere famiglie. Chi può fugge, senza portarsi dietro nulla, per il timore di essere trasformati in scudi umani.

Non è un caso che Mosca abbia deciso di lanciare la controffensiva contro il più importante centro economico siriano, mentre a Ginevra le opposizioni puntavano i piedi e l’inviato Onu de Mistura tentava di uscire dall’angolo. Un negoziato nato già morto e che entrambi i fronti hanno usato per prendere tempo e posizionarsi sul campo di battaglia.

Damasco e Mosca sono consapevoli del potenziale che l’eventuale ripresa di Aleppo rappresenta ai fini del dialogo: la sconfitta militare e simbolica delle opposizioni, moderate e islamiste, e l’apertura di una nuova fase, in cui resterebbe come unico (o quasi) nemico lo Stato Islamico. Una prospettiva che terrorizza i sostenitori delle opposizioni, a partire da Arabia Saudita e Turchia, che direttamente e indirettamente mettono sul tavolo la guerra: giovedì Riyadh ha offerto alla coalizione anti-Isis guidata dagli Usa le proprie truppe per un’operazione via terra che – si immagina – sarà coordinata con il membro Nato, la Turchia, con la quale i Saud hanno stretto pochi giorni fa nuove collaborazioni militari in un incontro ad Ankara.

In tale contesto si inserisce la notizia, riportata dall’agenzia iraniana Fars News (che cita la Cnn) del presunto addestramento da parte di Riyadh di 150mila soldati sauditi, egiziani, giordani, bahreiniti, turchi, sudanesi, qatarioti, emiratini a partire da marzo. Truppe da inviare in Siria, è il sospetto, dopo le dichiarazioni del generale Asseri e la coalizione di paesi musulmani in chiave anti-Isis inventata dall’Arabia saudita a dicembre. Che più che contro l’Isis avrebbero un’altra funzione: frenare l’avanzata governativa, aprendo così scenari di reale conflitto regionale.

La risposta del governo di Damasco è arrivata a stretto giro: «Quelli che entreranno torneranno nei loro paesi dentro una bara», ha detto il ministro degli Esteri siriano Walid al-Moallem aggiungendo che qualsiasi tipo di incursione via terra sarà intesa come un atto di guerra.

Il secondo guanto di sfida lo lancia l’Iran: «Dicono che manderanno le truppe, ma non penso che oseranno», ha detto il generale Ali Jafari, capo delle Guardie Rivoluzionarie. Chiude la Russia che manda un chiaro messaggio agli avversari della Nato: non cesseremo il fuoco perché nessun altro lo cessa. «Non possiamo fermare i raid unilateralmente. Che dite dei terroristi e dei gruppi di opposizione? Anche loro si fermeranno? E la coalizione guidata dagli Stati Uniti si fermerà?», il commento dell’ambasciatore russo al Palazzo di Vetro, Churkin, in risposta alla richiesta del segretario di Stato Usa John Kerry che venerdì chiedeva l’immediata interruzione dei bombardamenti russi in Siria, accusando l’avversario di «chiacchiere fini a se stesse». È una risposta anche al Patto Atlantico che venerdì per bocca del segretario generale Stoltenberg definiva l’operazione russa «una sfida alla Nato».