Aleppo continua a essere pesantemente bombardata, tanto che forse per la prima volta nella sua storia millenaria gli allarmi aerei hanno sostituito i muezzin della preghiera del venerdì.

Come documenta un servizio fotografico del sito di Al Jazeera gli abitanti – Aleppo resta la città più popolosa della Siria, con quasi 2 milioni di residenti – hanno scavato rudimentali rifugi anti-aerei nei cortili delle case. Diversa è la situazione degli edifici pubblici e degli ospedali, che non si possono evacuare in fretta e furia e vengono presi come target.

Dopo il bombardamento dell’ospedale Al Quds e del quartiere di Sukkari di mercoledì, dove i morti sono saliti a 50 (due i sanitari, incluso uno degli ultimi pediatri rimasti in attività sotto le bombe, Wasem Maaz), ieri è arrivata la notizia di un altro ospedale colpito, nel sobborgo di Al Marja. Secondo i «caschi bianchi», cioè i pompieri e le squadre di protezione civile che ancora cercano di spegnere incendi e salvare i sopravvissuti sotto le macerie, si tratta di una clinica un tempo specializzata in cure odontoiatriche e malattie rare.

Ancora imprecisato il numero delle vittime. Secondo una catena di informazioni telefoniche che da Aleppo passa in Turchia e da lì alle organizzazioni anti-Assad disperse in Europa i morti sarebbero cinque, mentre fonti locali parlano solo di un infermiere ferito. Mentre secondo l’agenzia di stampa siriana Sana altri 8 persone avrebbero perso la vita nella distruzione a colpi di mortaio di una moschea nel quartiere lealista di Midan e 30 sarebbero i feriti nella moschea di Malla Khan nel quartiere di Bab al Faraj.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani sono 202 in tutto i civili uccisi nell’ultima settimana di intensi bombardamenti e combattimenti ad Aleppo. Una media sanguinosa di un morto ogni 25 minuti nelle ultime 48 ore, nel conto dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan De Mistura, il quale è tornato ieri ad esortare Usa e Russia a fermare la carneficina.

Ciò che De Mistura non dice ma è evidente ormai è che l’accordo sul cessate il fuoco siglato lo scorso 27 febbraio, se mai ha dato un po’ di pace alla popolazione stremata da quattro anni di guerra civile e oltre 400 mila morti, ha ora un grosso buco: Aleppo. Ieri infatti la coalizione anti-Isis ha deciso 24 di tregua nei raid aerei ma solo su Damasco e sulla zona orientale della provincia di Ghouta, dove l’esercito di Assad si muove in tandem con gli Hezbollah libanesi. Nella provincia di Latakia il silenzio dei cieli varrà 72 ore. Aleppo non è contemplata, ad Aleppo non ci sarà alcuna tregua.

La cosiddetta «capitale del Nord» è di fatto spaccata in due e i quartieri bombardati sono quelli in mano al Fronte Al Nusra, i miliziani qaedisti che non hanno firmato alcun cessate il fuoco insieme ad altri 90 gruppi più piccoli e all’Isis. È contro i ribelli di Al Nusra che – secondo la tv del Qatar Al Jazeera, ma anche secondo l’agenzia semi-ufficiale iraniana Fars – l’esercito lealista siriano ha lanciato da una decina di giorni un attacco su larga scala con il supporto aereo e logistico della base russa di Latakia.

Naturalmente l’agenzia Fars non dice che l’ospedale Al Quds dove operava l’équipe di Medici senza Frontiere sia stato bombardato dall’aviazione russa ma riferisce che i caccia russi stanno operando nelle zone sud, nord e ovest della provincia di Aleppo in una «operazione anti-terrorismo contro l’Isis e il Fronte Al Nusra». Una operazione che, secondo analisti strategici britannici sulla Bbc, servirebbe a Mosca a consolidare il potere di Bashar al Assad prima di ritirarsi gradualmente dal conflitto, dopo i successi bellici a Palmyra.

Secondo il Segretario alla Difesa statunitense John Kerry la distruzione dell’ospedale di Al Quds, nella parte di Aleppo controllata da Al Nusra, era un «obiettivo deliberato», così come – ma questo Kerry omette di dirlo – è stato deliberato il bombardamento americano della Nato, durato 40 minuti, a Kunduz in Afghanistan nell’ottobre scorso. O come gli altri 5 ospedali, uno di Msf, colpiti a Idlib in Siria a febbraio.

Msf ha avviato la campagna #NotATarget e il 3 maggio il Consiglio di Sicurezza Onu voterà una mozione per vietare i rai contro ospedali in zone di guerra in base al diritto internazionale.