Settantuno camion di cibo e medicinali hanno fatto il loro ingresso ieri in quattro comunità siriane assediate: Zabadani e Madaya, al confine con il Libano; Fuah e Kefraya, cittadine sciite nella provincia di Idlib, controllata dall’ex al-Nusra. Gli aiuti saranno consegnati a 60mila persone dalla Croce Rossa. Mentre qualcosa finalmente arriva alle popolazioni sotto assedio di governo o opposizioni, ad Aleppo – dove si svolge una battaglia decisiva per la guerra – la violenza delle armi non aveva mai raggiunto simili livelli.

Gli ospedali sono al collasso: le immagini girate sul posto mostrano corridoi strapieni di feriti, sdraiati a terra per l’assenza di posti letto, medici che corrono con in braccio bambini coperti di sangue, persone soccorse con i pochi mezzi a disposizione. «Non c’è spazio per noi – dice al microfono di al-Jazeera il corrispondente Halabi – Dobbiamo lasciare spazio ai feriti. Sembra il giorno del giudizio».

Fuori, Aleppo si ripiega su se stessa: centro economico della Siria, oggi non riesce neppure a produrre pane. Il cibo sta velocemente scomparendo, così come l’acqua corrente. Per non parlare dei medicinali, una chimera. Il fallimento della tregua, ampiamente previsto, ha aperto ad un’escalation che colpisce la popolazione senza quartiere.

Ad est, nelle zone controllate dalle opposizioni per lo più islamiste (sarebbero 3.500 solo i miliziani dell’ex al-Nusra, oggi Jabhat Fatah al-Sham), 300mila persone restano tagliate fuori dal resto della Siria, costantemente bombardate dal cielo e da terra: i jet siriani dall’alto, i missili delle milizie armate dal basso.

Mentre Aleppo viene massacrata (secondo fonti locali sono 237 i morti da lunedì 19, quando la tregua è stata definitivamente archiviata, e 101 da giovedì quando Damasco ha lanciato la controffensiva), al Palazzo di Vetro andava in scena l’ultimo degli scontri tra i due fronti della guerra, in aperto conflitto seppur fingano di essere i fautori della soluzione politica. Da una parte la Russia e la Siria, responsabili dell’intensificarsi della battaglia; dall’altra l’Onu, gli Stati Uniti e la pletora di governi occidentali da anni incendiari della crisi sotto forma di armi e diplomazia spicciola.

Domenica la riunione di emergenza indetta dal Consiglio di Sicurezza si è chiusa con un nulla di fatto e i nervi tesi: Washington, Londra e Parigi hanno accusato i presidenti siriano e russo del massacro di Aleppo. E se il ministro degli Esteri di Damasco al-Moallem rispondeva ieri attraverso la tv al-Mayadeen che la tregua non è del tutto morta (nonostante sia stato il suo governo a dichiararla ufficialmente finita), al Palazzo di Vetro il rappresentante di Mosca Churkin attaccava le opposizioni, responsabili di aver costantemente violato il cessate il fuoco, e il fronte occidentale, incapace – volontariamente o no – di distinguere tra qaedisti e non. I primi, ha aggiunto, usano la popolazione ad est come scudi umani e ciò significa che «portare la pace è una missione quasi impossibile».

Le parole più dure sono state pronunciate da Samantha Power, ambasciatrice Usa all’Onu: «La Russia fa l’esatto contrario di quello che dice, quello che sponsorizza non è contro-terrorismo, ma barbarie». Lo stesso, però, fa anche il suo paese che si ostina a non voler scaricare le opposizioni affiliate all’ex al-Nusra perché sono le sole a impedire ad Assad di riprendersi Aleppo.

Allo stesso tempo insieme a Gran Bretagna e Francia, che domenica promettevano di non lasciare «impuniti» i crimini del presidente siriano, la Casa Bianca è la responsabile dell’arrivo in Siria di armi dalla tecnologia avanzata e in quantità incalcolabili tramite Arabia Saudita e Turchia. Non è un caso che sabato il colonnello al-Bayou, capo della Divisione Nord, unità dell’Esercito Libero Siriano, abbia annunciato «l’arrivo a breve di nuove armi pesanti» da parte dei sponsor esterni, lanciamissili e pezzi di artiglieria.

Il livello dello scontro verbale ha raggiunto livelli pari a quello militare, svelando l’incapacità di trovare un accordo per l’assenza di basi comuni e propensione al compromesso. Le due super potenze sono lo specchio dei soggetti sponsorizzati, altrettanto disinteressati a sgonfiare le tensioni: Assad aveva accettato il cessate il fuoco di due settimane fa controvoglia e, pur rispettandolo, ha colto al volo l’occasione di calpestarla quando gli Stati Uniti hanno bombardato i suoi uomini a Deir Ezzor (ieri l’intelligence siriana ha detto di aver registrato una presunta conversazione tra il comando Usa e l’Isis in città durante il raid); le opposizioni si sono dette scettiche fin dal primo minuto, accettandolo ma continuando a organizzare – lo hanno detto i leader di numerosi gruppi armati, considerati legittimi dall’Occidente – azioni congiunte con Jabhat Fatah al-Sham.