Non è ancora sera e a Roma è già corsa ai voti dell’outsider Alfio Marchini e del candidato pentastellare Marcello De Vito, che insieme rappresentano un tesoretto pari al 20-21% delle preferenze. L’ex senatore Dem Ignazio Marino e il sindaco uscente Gianni Alemanno, i due aspiranti al Campidoglio che ieri si sono aggiudicati la sfida al ballottaggio del 9 e 10 giugno con rispettivamente il 43% e il 30% circa dei voti, non hanno atteso nemmeno la conclusione degli scrutini per strizzare l’occhio ai grillini e all’elettorato dell’imprenditore che piace a destra e a sinistra.

Con un’affluenza nelle 2600 sezioni del comune tra le più basse della storia di Roma (il 52,8% degli aventi diritto, pari al 20,86% in meno rispetto alle amministrative del 2008 e al 17% in meno rispetto regionali), i risultati di ieri mostrano un elettorato trasversale a dir poco distratto, ormai refrattario alla battaglia politica, poco sensibile al bene comune.

Eppure Alemanno, memore dell’incredibile ribaltamento che lo premiò nel 2008 – quando dal 40,72%, contro il 45,8% di Rutelli al primo turno, passò al 53,65% al secondo, lasciando lo sfidante democratico al 46,34% – non demorde: «Per me la partita è aperta: siamo pronti subito al ballottaggio e combatteremo fino alla fine per il bene di Roma; la sinistra non canti vittoria – ha detto ieri sera dopo un pomeriggio di proiezioni sostanzialmente stabili –. Si ricomincia da zero e ai romani offro un patto da firmare su sicurezza, sviluppo e valori da difendere».

Ignazio Marino, attorno al quale finalmente il Pd chiama ora le truppe a raccolta, non perde tempo: esprime «rispetto per il risultato» di Marchini – attestatosi attorno al 9% – «che è molto radicato in questa città e che ha fatto un’ottima campagna elettorale». Il 12,5% dei Cinque stelle invece vale qualcosa di più, e Marino si adegua: «Il M5S ha sottolineato dei temi anche da noi sottolineati con grande forza, come la democrazia partecipata, la riduzione dei costi della politica, la trasparenza delle spese in Campidoglio. Spero che gli elettori del Movimento apprezzino che noi li consideriamo nostri temi».

Figuriamoci se Alemanno non fa altrettanto, dopo aver ingoiato perfino il rospo Berlusconi, chiamato in soccorso, pur di riconfermarsi sindaco di una città sfinita da cinque anni di malgoverno del centrodestra. Al ballottaggio, dice, «ci rivolgeremo a tutti gli elettori» compresi quelli che ancora speravano nella rivoluzione stellata di Beppe Grillo o quelli a cui piaceva la faccia pulita e i modi bon-ton di Marchini, il costruttore dalle ascendenze comuniste. «Se il dialogo ci sarà non lo rifiuteremo – aggiunge il sindaco uscente – sono convinto però che il dialogo debba passare attraverso gli elettori. Penso che la scelta di votare De Vito o Marchini sia una scelta fuori dall’apparato, fuori da ogni schieramento. Sono persone che dobbiamo raggiungere casa per casa».

Ovviamente De Vito non può smentire se stesso: «Alemanno e Marino sono la stessa cosa come lo sono i loro partiti», dice annunciando che al ballottaggio andrà sì a votare ma sprecherà la scheda. «Possiamo rivedere il film degli ultimi venti anni: possiamo dire che hanno governato bene? Secondo me no», è il ragionamento di De Vito.

Dal canto suo, Marchini soddisfatto per essere passato «da zero al 10% in tre mesi», prende tempo: «Quindici giorni sono un’eternità, decideremo con calma cosa fare al ballottaggio», dice. Ma, nemmeno a metà scrutinio e già vende cara la pelle: «Non farò il vice di nessuno, e ai tavoli non mi siedo. Valuterò in modo laico e alla luce del sole i contenuti perché questo 10% di elettori aspetta la nostra coerenza; mi batterò per essere il più possibile influente nel governo di questa città, difenderemo fino allo spasimo gli interessi di chi ci ha dato la delega, saremo al centro dell’arena».

Al comitato elettorale di Marino, ovviamente, è festa. Dopo una campagna elettorale condotta sostanzialmente in solitudine, tutta incentrata sul territorio e cercando di prendere prepotentemente le distanze dal bailamme che nel frattempo agitava la casa democratica, ora giustamente il chirurgo incassa una vittoria tutta personale. Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti lo raggiunge nella sede dell’Eur per spronare il partito a recuperare il tempo perduto. E da Epifani in giù passando per Pierluigi Bersani, le telefonate dei big democratici non si fanno attendere.

Anche Nichi Vendola festeggia, con il suo 6 e passa per cento di voti alla lista in sostegno di Marino: «Uno splendido risultato» che «rappresenta la ribellione dei romani di fronte all’immagine di una città trasandata, abbandonata, sporca; Roma con Ignazio Marino vuole tornare ad essere capitale del mondo, al centro della scena politica».