Per quanto controversa sia la sua storia, la psicoanalisi in Russia gode di una lunga e feconda tradizione, pur gravata da innumerevoli traversie; e d’altra parte è nota l’influenza che ebbe sul pensiero di Freud e di molti dei suoi seguaci la descrizione psicologica dei personaggi da parte dai classici ottocenteschi (da Lermontov a Dostoevskij e Tolstoj).
Alla storia di questa tradizione e al contributo fornito da scrittori, filosofi, psicologi e psichiatri, è dedicato il volume di Aleksandr Etkind, Eros dell’impossibile Storia della psicoanalisi in Russia (a cura di Luciano Mecacci, ETS, pp. 487, € 29,00). Pubblicato in originale nel lontano 1993, poco dopo il collasso dell’Unione Sovietica, quando la psicoanalisi aveva potuto liberarsi dall’etichetta dispregiativa di «pseudoscienza borghese» affibbiatale in ambito sovietico, il libro era stato accolto già allora come una vera e propria rivelazione, almeno per la nascente cultura post-sovietica.

Etkind è tornato poi al suo lavoro, ampliandolo, integrandolo e correggendone alcuni punti, per offrirci una nuova storia della psicoanalisi nella Russia prerivoluzionaria e in quella sovietica, ed è questa seconda edizione a venire tradotta oggi in Italia, arricchendo il quadro storiografico generale della psicoanalisi, e portando un punto di vista nuovo e originale sulla storia della letteratura e del pensiero russo del Novecento.

Di certo, il già collaudato interesse della cultura russa per lo studio della psiche si avvantaggiò della grande fortuna incontrata in Russia dall’opera di Friedrich Nietzsche, cui contribuì specialmente Andreas Lou Salomé: alla sua opera Etkind riserva ampio spazio, per poi analizzare da vicino tutto quel brodo culturale, di tensioni e aspirazioni, che caratterizza la vita e le ricerche filosofiche e religiose degli intellettuali russi a cavallo tra i due secoli. Dalla «teurgia» dei modernisti il saggio di Etkind passa ad analizzare la «unitotalità» di Vladimir Solov’ev, fino alla rilettura in chiave mistica dell’opera di Gogol’ e di Dostoevskij. Uno studio particolare viene riservato al parallelo tra il Dioniso di Vjaeslav Ivanov e l’Edipo di Freud, mentre di Vasilij Vasil’evic Rozanov Etkind evidenzia l’esaltazione della sessualità carnale: di lui ricorda le citazioni di «intere pagine di scioccanti storie cliniche tratte da popolari libri tedeschi di psicopatologia sessuale».
Risalendo dall’influenza che ebbe l’opera di Merežkovskij sull’interpretazione freudiana di Leonardo, Etkind arriva, più in generale, a confermare la condivisione di simbolisti e psicoanalisti «per i problemi della sessualità», dove la congiunzione della vita e della morte diviene un trait d’union fondamentale tra il pensiero russo prerivoluzionario e la psicoanalisi, che contribuì al radicamento del concetto di podsoznanie (subconscio) nelle opere del tempo.

Anche l’idea della resurrezione universale di Fëdorov, quella che chiama la «Causa comune», è radicata in quel nesso tra vita e morte che nutre tutte le ideologie sulla costruzione dell’uomo nuovo, da Maksim Gor’kij a Bogdanov, fino a Majakovskij, dove evidente è il riferimento all’idea del «superuomo» nietscheano e il subliminale collegamento all’idea mistico-religiosa della conciliarità [sobornost’], ripresa da Ivanov, e malintesa dal bolscevismo nella sua pretesa di edificazione di una nuova umanità.

Non a caso la psicoanalisi ebbe fortuna nei primi anni del potere sovietico, almeno fino alla Grande Svolta staliniana. Intellettuali che avevano viaggiato, erano venuti in contatto con le più significative tendenze della cultura occidentale, e nel ventennio tra il 1910 e il 1930 assicurarono alla psicoanalisi una ampia affermazione in Russia: non solo Lou Andreas-Salomé, ma anche Emilij Metner, molto legato a Jung e Sabina Spielrein, che di Jung era stata paziente e amante, e che rientrò definitivamente in Unione Sovietica nel 1923, contribuirono al consolidamento della scuola psicoanalitica russa, già affermata dagli anni Dieci e dunque costretta, durante la rivoluzione e la guerra civile, a indurre scelte dolorose; quelle scelte che portarono importanti studiosi, come Osipov e Vul’f all’esilio. Furono soprattutto Lev Trockij e Adol’f Ioffe, il rivoluzionario che in esilio a Vienna era stato allievo di Alfred Adler e che poi nel 1927 all’epoca dei primi grandi scontri all’interno della dirigenza sovietica si era suicidato, a assicurare una buona diffusione al pensiero freudiano.
Legami con la pratica dell’autoanalisi sono rintracciabili nella biografia e nell’opera di molti intellettuali sovietici: Etkind riporta il caso del dialogismo di Bachtin, le prove di autoanalisi di Zošenko, o ancora i riflessi della psicoanalisi nei procedimenti artistici di Sergej Ejženstejn.

Quando poi l’ideologia sovietica accentuò le restrizioni comportamentali, il pensiero psicoanalitico si diresse piuttosto all’ambito della pedagogia e dell’età evolutiva: la tradizione psicoanalitica è alla base degli studi di Lev Vygotskij e Pavel Blonskij e nutre l’opera del più importante psicologo sovietico, Aleksandr Lurija.