Aldo Natoli (Messina 1913-Roma 2010), tra i fondatori del Manifesto, radiato dal Comitato centrale del Pci nel 1969 con Rossana Rossanda e Luigi Pintor (altri dirigenti e militanti subiranno la stessa sorte, tra cui i fondatori di questo giornale), era personaggio schivo e autorevole. Per lui parlavano i tre anni trascorsi in carcere a Civitavecchia con Vittorio Foa e Carlo Ginzburg in piena dittatura fascista, l’elezione alla Camera fin dalla prima legislatura nel 1948, gli anni della clandestinità, il lungo periodo in cui è stato segretario della Federazione romana del Pci (dal 1946 al 1954, mitiche le sue battaglie urbanistiche in Campidoglio).

INSIEME A ELISEO MILANI (ex segretario della Federazione di Bergamo, pure lui deputato al momento della radiazione), era tra i pochi del gruppo storico del Manifesto ad avere una esperienza di direzione del partito «sul campo e dal vivo». Quel tratto peculiare non l’avevano Luigi Pintor, Luciana Castellina, Valentino Parlato (impegnati prevalentemente nella stampa di partito), né Rossana Rossanda (ha diretto la Sezione culturale nazionale) e né Lucio Magri funzionario a Botteghe oscure presso la Sezione lavoro di massa.

Saranno poi proprio Rossanda e Magri a dirigere il manifesto mensile nel 1969. Contro la radiazione si schierarono Cesare Luporini, Lucio Lombardo Radice e Fabio Mussi. Tre gli astenuti: Giuseppe Chiarante, Sergio Garavini e Nicola Badaloni.

Ora a restituire la complessità del personaggio Natoli ci pensa il libro Aldo Natoli. Un comunista senza partito (edizioni dell’Asino, pp. 270, euro 14) curato da Ella Baffoni e Peter Kammerer, che ben suddivide biografia politica, biografia personale e testimonianze di chi ha seguito più da vicino Natoli (da Stefano Prosperi a Mimmo Quaratino a Celeste Ingrao che ne schizzano il ritratto umano e politico), oltre a una conversazione con lo stesso Natoli.

Ne esce il ritratto di un «comunista senza partito», come amava definirsi negli ultimi quarant’anni della sua vita, e di comunista «del Pci» nei precedenti decenni, costretto dal fascismo a non proseguire la carriera di medico e ricercatore presso l’Istituto Pasteur contro il cancro a Parigi che aveva brillantemente avviato. Destino comune ad altri come Pietro Ingrao, che forse avrebbe preferito fare lo sceneggiatore per il cinema, o come Luigi Pintor, che aveva una passione per il pianoforte.

RICORDO UN INCONTRO che forse aiuta a capire il personaggio Natoli. Dopo le elezioni politiche del 1972 (un disastro per la lista del Manifesto), andai a trovarlo nella redazione del quotidiano in via Tomacelli. Entrai nella sua stanza in fondo al corridoio sulla sinistra. Lui, cortese, mi chiese subito la ragione dell’appuntamento. Gli spiegai che venivo a portargli l’invito a partecipare a una assemblea del Collettivo di Magistero: volevamo capire perché aveva deciso di allontanarsi dall’impegno con il Manifesto gruppo politico. Lui si alzò e sorridendo mi congedò: «Io sono Natoli, non sono un natoliano». Temeva che volessimo usare la sua autorità nel dibattito interno.

Le ragioni del suo distacco dal gruppo politico e dal giornale saranno più chiare e pubbliche in seguito, quando prenderà forma il progetto del Pdup: Natoli non era d’accordo con le accelerazioni organizzative (era stato contrario alla presentazione autonoma alle elezioni), pensava che il lavoro «manifestino» dovesse essere prevalentemente culturale e vertere sulla crisi del comunismo internazionale e dell’impasse che viveva il Pci di fronte alle novità del 1968/1969 (Magri, che fu segretario del Pdup, annota nel libro Il sarto di Ulm: «Forse aveva ragione Natoli nel suggerire di non cedere alla tentazione di dare alla rivista una proiezione organizzativa in tempi brevi»).

CON LA RADIAZIONE dal Pci – dolorosa pure negli strascichi personali, come racconta lo stesso Natoli parlando dei rapporti mai ricuciti con Pietro Ingrao che votò contro gli «eretici» – inizia un terzo tempo nella vita dell’ex segretario della federazione romana. Dopo gli anni della formazione a Messina tra le pieghe di una famiglia colta e progressista, dopo i decenni vissuti in prima linea, arrivano quelli dello studioso.

Nel 1976 arriva un primo libro, Sulle origini dello stalinismo, con cui Natoli affonda nell’analisi del «socialismo reale»: già nel 1956 (i fatti di Ungheria) aveva manifestato il proprio malessere politico che era diventato ancora più acuto con il Rapporto di Nikita Krusciov al XX Congresso del Pcus con il quale si analizzava solo in superficie la degenerazione staliniana.

Poi arrivano attenzione all’esperienza cinese, saggi e relazioni a convegni. Infine, la rilettura (in Antigone e il prigioniero) dell’importanza del ruolo di Tatiana Schultz nei confronti del cognato Antonio Gramsci quando questi è in carcere (puntuale su questo testo la ricostruzione di Maria Luisa Boccia).

Biografia, bibliografia, attività parlamentare e di studio di Aldo Natoli sono consultabili sul sito www.aldonatoli.it