Quasi in coincidenza con il 150° anniversario della pubblicazione di Piccole donne, e a poche settimane dall’uscita della nuova versione cinematografica del romanzo con la regia di Greta Gerwig, la conoscenza di una delle maggiori voci della letteratura per adolescenti (e non solo) si arricchisce del volume scritto da Martha Saxton, Louisa May Alcott Una biografia di gruppo (a cura di Daniela Daniele, Jo March Editrice) che fu pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1977. Di quel periodo il testo conserva lo spirito di contestazione e la modernità della prospettiva dalla quale riscrive la storia di una delle famiglie più celebri d’America, mettendo in evidenza la problematicità delle interpretazioni prevalenti e ricorrendo a volte agli strumenti della psicoanalisi. Una seconda edizione uscì nel 1995 ed è questa che oggi viene tradotta, a testimonianza dell’interesse per un’autrice che si è rivelata più complessa e affascinante di quanto l’appellativo «amica dei bambini» lasciasse supporre.

Biografia di gruppo
La biografia di Saxton è stata pionieristica nel delineare un ritratto privo dell’idealizzazione nostalgica di quel passato illusorio di cui l’autrice, per volontà paterna, si era fatta interprete, e dal quale emergono, invece, ambiguità, contraddizioni e lati oscuri. È anche grazie a questo studio che, soprattutto negli ultimi trent’anni, Louisa May Alcott è stata oggetto di una radicale rivalutazione –iniziata con il ritrovamento, nel 1943, dei racconti gotici pseudonimi, che ha determinato il suo riposizionamento sia nel contesto storico sia nel canone letterario. Ma neanche coloro che di quella scoperta furono artefici, le studiose Madeleine B. Stern e Leona Rostenberg, si erano mai spinte così in profondità quanto Saxton nell’analisi delle motivazioni, dei desideri e del destino di questa autrice.

Lo studi, il cui sottotitolo è stato felicemente tradotto come «Una biografia di gruppo», ha anche il merito di offrire una vivida ricostruzione dell’ambiente in cui Alcott trascorse gran parte della sua vita. La cittadina di Concord, nel Massachusetts, nota come la «culla del Trascendentalismo», ospitava figure chiave tra cui Ralph Waldo Emerson, Henry David Thoreau, e Nathaniel Hawthorne, ai quali Bronson Alcott, padre di Louisa, era legato da rapporti di amicizia e di collaborazione. Questi e altri, come Margaret Fuller, ebbero un’influenza decisiva sulla formazione della scrittrice, tanto che compaiono a più riprese nell’accurata ricostruzione di Saxton, altrimenti concentrata sulla famiglia Alcott e sui complicati rapporti di Louisa con i genitori.

Complicazioni e conflitti derivanti, tra l’altro, dai continui sconfinamenti e inversioni dei ruoli di genere, di cui Saxton offre un’acuta analisi mostrando come le trasgressioni all’ideologia delle «sfere separate» (un mondo maschile e uno femminile) avessero conseguenze assai peggiori per le donne: «Piccole donne offre un’immagine della lotta necessaria per realizzare l’ideale femminile, con tutte le sue gratificazioni esclusivamente morali, la rimozione dei dissidi interiori e il raggiungimento di una sorta di pace Zen, conquistata attraverso il sacrificio di sé».

Dal libro sono stati tratti spettacoli teatrali, film, adattamenti e innumerevoli traduzioni, a testimonianza dell’identificazione ancora viva con la battaglia della protagonista, Jo March, per incanalare le proprie energie in una condotta socialmente accettabile. Se oggi questa storia può ancora entrare in risonanza con le nuove generazioni, ciò è un segno della capacità di Alcott di cogliere aspetti fondamentali dell’esperienza delle donne, ed è anche prova del fatto che, dopo un secolo e mezzo, i conflitti e le tensioni che attraversano il romanzo restano parzialmente irrisolti.
Louisa May è stata per molto tempo ritenuta l’alter ego della sua eroina più famosa, anche in base a quanto scrive nelle sue lettere e nei diari, dove sembra tendere trappole per depistare i lettori fedelissimi ma invadenti. Così profonda e pervasiva è stata l’influenza del suo romanzo, che anche gli altri personaggi della famiglia March – soprattutto il padre, la madre e Amy, la sorella più piccola – sono stati spesso identificati con le figure di Bronson, Abba e May Alcott (ognuno già oggetto di studi e monografie indipendenti o protagonista di romanzi – Eden’s Outcasts di John Matteson oppure a L’Idealista di Geraldine Brooks, entrambi ispirati a Bronson, oppure il recente The Other Alcott. A Novel di Elise Hooper, ispirato a May, che espatriò in Europa e divenne una pittrice di discreto successo). Meritevoli di attenzione per la loro statura artistica e riformatrice, queste figure sono – scrive Daniela Daniele nella postfazione – «rimaste come intrappolate nell’incauta identificazione con i personaggi usciti dalla penna di Louisa».

Meno piccole di prima
Ai meriti di questa biografia si aggiunge quello di eludere una meccanica corrispondenza tra persona e personaggio, offrendoci «un ritratto corale e complesso che rovescia il mito della famiglia americana richiesto a gran voce dai fan di Jo March». Saxton scriveva, nell’introduzione alla seconda edizione, che in quanto biografa l’aspetto più problematico da affrontare era stata «la disgiunzione di Piccole donne dagli eventi reali che avevano ispirato il romanzo». Da qui la sua convinzione che Louisa lo avesse scritto «solo per compiacere i suoi genitori, obbedendo al desiderio del padre di farle scrivere un racconto che contenesse una morale per bambine, e assecondando anche quello della madre di porsi al centro di una vicenda che, nella realtà, fu molto più complessa e dolorosa».
È un complicato destino umano e editoriale quello che emerge da queste pagine, arricchite dal lucido commento di Daniela Daniele, esperta di Alcott, oltre che sensibile traduttrice. Questa coraggiosa operazione editoriale ci ricorda che leggere Piccole donne come una rappresentazione della realtà è fuorviante, e leggerla nel contesto della vita combattiva, persino eroica, di Louisa May Alcott, come auspicava la sua biografa, può aiutarci a non dimenticare che la lotta per rendere le donne un po’ meno «piccole» è tutt’altro che conclusa.