Nei dettagli si nascondono le – ulteriori – beffe ai lavoratori. La lettura dei testi definitivi dei decreti attuativi del Jobs act porta alla luce tutta la carica di propaganda delle affermazioni «storiche» di Renzi e dei vari esponenti del governo.

Alla vigilia della pubblicazione dei primi due in Gazzetta Ufficiale, appena in tempo per rendere applicabile il nuovo contratto a tutele crescenti – e legare i relativi sgravi fiscali per le imprese – per il primo marzo, sono arrivati i testi del terzo e quarto: «semplificazioni delle tipologie contrattuali e «conciliazione dei tempi di vita e lavoro».

A tarpare le aspettative – seppur flebili – dei precari di molti settori è arrivata la lettera B del comma 2 dell’articolo 47 contenuto a pagina 33 delle 38 complessive. Che esclude l’«applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni organizzate dai committenti» – leggasi cocopro – dal primo gennaio 2016 alle «collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali». I cocopro – e dunque il precariato più spinto e senza diritti – rimarranno per i giovani avvocati praticanti, giornalisti di tutte le testate, giovani architetti e qualsiasi altra categoria nella quale vige un ordine professionale.

Ancora peggiore la situazione per i 30mila cococo – lì si chiamano ancora così – del settore pubblico. Il punto 3 dello stesso articolo precisa: 3. «In attesa del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, quanto disposto non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni fino al primo gennaio 2017». Per loro le speranze di una stabilizzazioni sono pochissime.