Bisogna avere la forza di riconoscere che il mercato editoriale pare aver smarrito la bussola. Affrontiamo un caso concreto di cui stiamo trattando da un pezzo in questa rubrica: editoria e alberi. Restringiamo pure il campo: editoria e grandi alberi, gli alberi monumentali. Soltanto negli ultimi mesi sono usciti due nuovi titoli su boschi e alberi per Laterza, Einaudi ha pubblicato il mio libro sui grandi alberi e Il canto degli alberi di D. G. Haskell, Rizzoli ha pubblicato il secondo saggio del buon Pietro Maroè, l’Ippocampo ha pubblicato Il giro del mondo in 80 alberi di Jonathan Drori. L’ottuagenario Franco Tassi ha licenziato il proprio memoriale, Verdi incontri, per il piccolo editore Stella Mattutina. Svariati libri per ragazzi e bambini, illustratissimi, hanno raggiunto le soglie delle librerie. Non parliamo poi delle decine di opere narrative ambientate quasi d’obbligo in un bosco, ai margini di una riserva naturale, in un giardino o sopra un albero, a cui si affiancano le analisi pirotecniche tipo La vita delle piante di Manuele Coccia per Il Mulino, quanto le esplorazioni dedicate alla silvoterapia, sia essa di matrice nostrana piuttosto che orientale. Una foresta di titoli fuori dalle foreste!

Non è impresa scontata individuare una casa editrice, grande media o piccola, che non ospiti in catalogo uno o più autori di volumi dedicati agli alberi. Se dieci anni fa, o otto, o cinque, chi di noi si impegnava in un’impresa del genere aveva almeno alcuni mesi di tempo per promuovere in santa e beata solitudine quel che era il frutto di tanti viaggi, tanta operosità, e magari anche di un certo lavoro di puntiglio in redazione, nel corso degli ultimi tempi la propria libertà si concretizza in settimane, e talora addirittura in giorni, col risultato che oramai circolano decine di autori che ripetono più o meno le stesse identiche informazioni e manifestano una certa qual retorica da poeta degli alberi. Sia bene chiaro: ogni singolo libro merita, ogni impresa fra queste che cito e tante altre che potrei accostare merita; c’è amore, passione, curiosità, impegno. Magari anche qualche grammo di presunzione ma questo, lo sappiamo, è parte del gioco. Il problema è la moltiplicazione, la moltitudine che sta oramai atterrando anche le eventuali possibilità di vendita. E non è che si possa nemmeno continuare a ipnotizzare gli eventuali acquirenti vendendo l’idea che «voi lettori non sapete cosa davvero siano gli alberi», chissà quali segreti si celano sotto quelle cortecce, fra quelle radici sepolte, in mezzo a quelle chiome sparate al cielo! Gli effetti speciali si stanno esaurendo, è inevitabile. In editoria si è imposta l’etica dell’occupazione degli spazi, e quindi delle vetrine, degli scaffali, delle librerie e delle rubriche. La natura che oggi è una forza in editoria fra poco tempo avrà talmente saturato l’attenzione da far prevedere, e senza essere la Cumana, un rigetto, oltre a non essere già più un reale fattore di appagamento.

Infatti, così come i librai oramai borbottano quando aprono gli scatoloni e vedono l’ennesimo nuovo libro sugli alberi, figuriamoci i recensori e, non di meno, coloro che dovrebbero goderne. Da poche settimane si è aggiunto Alberi straordinari d’Italia, a cura della meritoria e longeva Associazione Patriarchi della Natura in Italia e pubblicato da Bruno Mondadori. Anzitutto il volume manifesta in copertina il grande tronco cavo del platano-grotta millenario di Curinga, nelle Calabrie, considerato il più largo e annoso platano del nostro paese. Introduzioni dei sapienti Andrea Gulminetti, Gabriele Piazzoli, Sergio Guidi, Vittorio Emiliani, Domenico Battaglia. Secondo un’architettura da atlante regionale, già ampiamente sperimentata ad esempio nella ricca bibliografia di Valido Capodarca, per ogni regione sono previste visite ad alcune grandi piante, variando in numero da tre a sei. Fotografie, descrizione botanica, aneddoti. E così ritroviamo i ficus di Bordighera, il tiglio di Sant’Orso ad Aosta, i giganti di Campiglione Fenile, il rugulun (rovere) del comasco, i larici della Val d’Ultimo, il platano dei cento bersaglieri nel veronese, la farnia di Attimis in Friuli, il cipresso di San Francesco in Romagna, il castagno di Camaldoli, l’ulivo di Villastrada, il platano del Piccioni nella Marche, il faggio del Pontone in Abruzzo, la canfora di Capodimonte a Napoli, gli ulivi del Salento, i loricati del Pollino, i castagni di Grisolia, il castagno dei cento cavalli alle falde dell’Etna nonché l’olivastro di Luras in Sardegna.