Un grande igienista del passato, Vincenzo De Giaxa (1848-1928), scriveva all’inizio del Novecento: «Con il destinare una parte della superficie stradale a giardino o ad aiuole, precedenti le case che prospettano sui due lati delle vie, con l’alberare queste e con il situarvi strisce di giardini, indi con le piazze-giardino e con i vari giardini e parchi pubblici, si crea il verde sanitario della città, cui oggi si ascrive il meritato interesse dell’igiene urbana e anche dell’estetica». Queste parole risultano ancora più importanti oggi, alla luce dei progressi delle conoscenze sull’inquinamento atmosferico urbano.

La città è un ecosistema, un organismo vivente, che si autoavvelena in seguito alla propria attività basata sulle fonti di energia. Ogni città, grande o piccola, che sia, è una «macchina» che brucia energia sotto forma di carburanti per muovere autoveicoli, per riscaldare le case, per uso di cucina, per attività artigianali; questa energia è per lo più sotto forma di prodotti petroliferi o gas naturale e si trasforma immediatamente in una massa di gas e polveri.

Questi gas e polveri vengono respirati dalle persone e arrecano danni alla salute nella maniera più perversa; a differenza dei veleni veri e propri, che uccidono subito chi li ingerisce, gli inquinanti urbani fanno sentire i loro effetti nocivi a distanza di anni o decenni, per accumulazione e per interazione con altri agenti tossici delle società «moderne».

Che fare? Ci sarebbe una soluzione, diciamo così, biotecnologica che poi non sarebbe una novità. Già nella metà del Seicento a Londra si usava tanto carbone da rendere insopportabile, per i suoi fumi, la vita urbana. Il filosofo John Evelyn (1620-1706) scrisse nel 1661 un libretto, intitolato: «Fumifugium, ovvero i danni dei fumi di Londra e come eliminarli», suggerendo al re Carlo II di circondare Londra con una cintura di piante verdi per purificare l’aria puzzolente della città.

Gli alberi sono, infatti, i principali depuratori dell’aria: le foglie delle piante trattengono una pare delle polveri che altrimenti finirebbero nei polmoni degli abitanti della città. Inoltre attraverso il processo fotosintetico qualsiasi pianta verde, anche la più umile e modesta, anche quelle che nascono negli interstizi delle strade e che vengono strappate con disprezzo, è capace di eliminare dall’atmosfera l’anidride carbonica che vi viene immessa da tutti i processi di combustione e che è la innegabile responsabile dei mutamenti climatici.
Purtroppo, in una società che ragiona soltanto in termini di soldi, il verde urbano non solo non rende niente, ma sottrae spazio ad opere ben più redditizie a imprese private, come costruzioni e parcheggi.

Eppure anche la salute è una fonte di ricchezza, privata e pubblica e gli alberi del verde urbano, oltre ai vantaggi ecologici e di salute, assicurano uno spazio di ombra, attutiscono il rumore — e sono belle.
Vittorio Alfieri parla della «pianta-uomo», intendendo che ciascuno di noi è «un albero» che affonda le radici nel mondo circostante.