I Xavier Beauvois è conosciuto per Uomini di dio, uscito nel 2010, ad oggi il suo film più popolare. Tutti i suoi lungometraggi raccontano di come uomini ordinari reagiscono al fatto di trovarsi di fronte ad una situazione più grande di loro – bigger than life avrebbe detto Nicolas Ray. In Albatros, selezionato nel concorso della Berlinale online appena conclusa, l’ordinario è rappresentato dal tran tran di una cittadina normanna, al tempo stesso costiera e agricola. Lo straordinario è la morte non accidentale d’un agricoltore. Il film cerca di tessere un legame tra queste due dimensioni della vita attraverso le quali Beauvois racconta la realtà effettiva della Francia di oggi, dove i contadini sono spinti al suicidio, e dove per unico interlocutore c’è la pistola del gendarme.

Com’è nata l’idea di questo racconto di gendarmi e di contadini?
Da un fatto di cronaca riportato da un giornale locale. Un agricoltore sommerso dai debiti e assillato dalle norme e dai regolamenti, era scomparso per qualche giorno. La gendarmeria (corpo militare addetto a compiti di controllo del territorio, ndr) lo ha ritrovato. Ma il fuggitivo ha minacciato di suicidarsi, e nel tentativo di togliergli l’arma lo hanno ammazzato. Questo fatto mi ha straziato, anche perché abito in campagna, e quindi frequento essenzialmente contadini e gendarmi. Tutto il resto è frutto dell’invenzione mia e dei miei sceneggiatori.

Il film è legato alla campagna, ma anche al mare.
Il paesaggio da queste parti è metà mare, metà campagna. Sono due parti inseparabili. Il villaggio dove vivo si trova, anche simbolicamente, tra l’una e l’altro. Ci abito oramai da quasi quindici anni e mi piaceva l’idea di lavorare vicino casa. O persino in casa – dove ho girato alcune scene. La stazione della gendarmeria è a tre chilometri da qui. Hanno accettato di mettermela a disposizione per la durata delle riprese. Mi hanno anche dato alcuni attori. Il più anziano del gruppo, quello che si fa canzonare perché vuole andare in crociera con la moglie, è gendarme nella vita.

C’è anche un vero contadino nel film. Ma che è pure un cineasta: Pierre Creton.
Mi fa piacere avere degli amici nel film. In questo caso, la presenza di Pierre è del tutto giustificata perché lui non è un contadino della domenica ma un vero e proprio agricoltore. L’altro «vero» è Geoffrey Sery, nel ruolo del contadino che viene ammazzato. Ha una fattoria molto bella. Ed è impegnato nella lotta per le rivendicazioni dei contadini che, proprio come il suo personaggio afferma, spesso vivono con 350 euro al mese pur lavorando anche di domenica.

C’è una sequenza di tempesta molto realistica, avete preso veramente il mare?
Girare in studio sarebbe stato troppo costoso. Abbiamo noleggiato dei rimorchiatori, che hanno dei cannoni ad acqua molto potenti in caso di incendio. Per girare la tempesta ci sono voluti tre giorni durante i quali ci siamo presi ettolitri di acqua in faccia. A cinque gradi. Jeremy ha avuto un episodio d’ipotermia. Per qualche ora è stato piuttosto male.

Perché questo titolo, «Albatros»?
Ogni marinaio sogna di vedere un albatros. Io non ci sono ancora riuscito. Non è una cosa facile. Sono degli uccelli che, in un certo senso, non sanno volare. Baudelaire, nella nota poesia, dice che l’albatros sul ponte della nave cammina con fare goffo, maldestro. Ma anche in aria sono maldestri! Sono troppo grandi, hanno un’apertura alare di tre metri e mezzo. Non sanno volare, possono solo planare. Hanno bisogno di molto vento. Come un veliero senza vento non potrebbe muoversi.

È una metafora di questo gendarme decaduto?
All’inizio del film, Laurent sembra nato per portare la divisa. Scopre a sue spese che non è così. In qualche modo questa tragedia gli permetterà di prendere un altro vento. Non sarà più gendarme. Farà qualche cosa d’altro. Forse di più interessante.

Nel 2004, hai inscenato un racconto nella famosa «Police judicière», quella di Maigret, a Parigi. Quindici anni dopo, vai invece in un commissariato di campagna. Cos’è cambiato? Cosa ti è rimasto?
Non ho ripensato per nulla a Le petit lieutenant… Ricordo che il commissariato di Parigi era molto caotico. Sui muri c’erano affissi persino dei poster di film. Alla gendarmeria c’è un’atmosfera molto più austera. È l’esercito. Per questo sono due film completamente diversi. Non solo perché uno è urbano e l’altro rurale. Ma anche per il tipo di ambiente e di persone che si trovano da un lato e dall’altro. I gendarmi per lo più hanno compiti amministrativi o di polizia locale. Raramente usano la pistola. In una carriera spesso non accade mai di doverla usare. Poi improvvisamente succede. Nessuno è veramente preparato a sparare a una persona. E si fanno delle stupidaggini.

I gendarmi parlano tra di loro del comportamento della polizia di Macron, durante il movimento dei Gilets Jaunes.
Non potevo evitare l’argomento. In alcune occasioni, i gendarmi hanno contestato certi ordini. C’è una dignità nella gendarmeria che la polizia ha perso. Una parte della polizia che si comporta in maniera indecente. Reprimendo con violenza inaudita persone che manifestano in maniera pacifica: infermiere, pompieri, insegnanti, operai. Gente che manifesta contro l’inazione del governo in materia di clima o di lavoro e che viene malmenata, gasata, o sui quali si sparano pallottole di gomma. Basta avere del liquido fisiologico in borsa per passare 48 ore in stato di fermo. Non capisco come queste persone possano tornare a casa. Ciao papà, che hai fatto oggi? Ho malmenato delle infermiere che protestavano perché non ne possono più … Questa non è polizia, è la milizia di Macron.

La prima e l’ultima inquadratura sono Marie Julie e Madelaine Beauvois, tua moglie e tua figlia, che recitano moglie e figlia di Laurent. Senza voler fare psicologia, perché hai ingaggiato la tua famiglia?
È un regalo, che faccio a loro. E che faccio a me stesso, di lavorare con persone che amo. E poi è un modo per fotografarle, per renderle eterne.