Fratelli contro. Bastano due parole per trarre l’essenza della seconda partita nel calendario di Euro 2016: Svizzera contro Albania. Un confronto che la geopolitica ha modellato, nel tempo, a «derby del cuore». Da una parte il paese elvetico, che ha cresciuto generazioni di famiglie di origine balcanica e – in questo caso – di etnia albanese, dall’altra quello dell’aquila bifronte, che ha fornito alla società svizzera sportivi e – sempre in questo particolare caso – calciatori eccellenti. Nipoti degli operai giunti per la prima volta tra le Alpi negli anni ’60, oppure i figli della guerra scappati in fasce, in braccio alle loro madri nei tronconi di metà e fine anni ’90. Una migrazione mai ultimata tanto che, oggi, per esempio, un kosovaro su dieci vive proprio da queste parti. E che lo stato autoproclamatosi nel 2008 a Pristina, viene metaforicamente considerato il quinto cantone elvetico.

Una disputa nella disputa

Già, il Kosovo. Associato inevitabilmente, per ragioni di etnia, all’Albania. Meglio, al concetto di «Grande Albania», rimarcato dal famoso drone-bandiera provocatorio nel match di qualificazione tra Albania e Serbia. E qui, calcisticamente, s’innesca una disputa nella disputa: i giocatori kosovari, infatti, che hanno scelto la nazionale di origine (anziché quella Svizzera o di un’altra nazione “adottiva”) hanno sempre risposto alle convocazioni albanesi. Ma, proprio ad inizio primavera, Pristina ha infine ricevuto il benestare di Uefa e Fifa per allestire una nazionale che partecipi ufficialmente alle competizioni internazionali.

In futuro ne vedremo di tutti i colori: per il momento, è bene soffermarsi sul rosso che campeggia sia sulle bandiere dei balconi di Berna e Tirana e capire come si è arrivati a un meltin’ pot talmente straordinario nelle due rose protagoniste all’Europeo di Francia, che ha portato la famiglia Xhaka a vedere i propri figli (albanesi-kosovari di seconda generazione) sfidarsi nelle due diverse selezioni: Taulant (classe ’91) per quella balcanica e Granit per quella rossocrociata: il primo gioca a Basilea, città che gli ha dato i natali come ovviamente per il fratello di un anno più giovane, rapido centrocampista della Bundesliga tra le fila del Borussia Mönchengladbach. Entrambi sono molto appetiti dai club di mezza Europa.

Un miracolo non ipotizzabile

Occorre specificare un concetto: normalmente, i giocatori di origini albanesi presenti nei 23 scelti dal ct della nazionale svizzera Vladimir Petkovic – bosniaco di nascita, croato di origini e naturalizzato svizzero (sembra quasi destino) – di base hanno risposto alla chiamata elvetica perché, chiaramente, hanno sempre visto nella nazionale alpina un’opportunità professionale migliore rispetto alla nazionale dei loro padri.
Banalizzando (ma fino a un certo punto) si può dire che chi di loro gioca per la Svizzera possiede doti tecniche di un livello più alto. Certo, nessuno, qualche mese prima, avrebbe mai avuto l’ardire di prefigurare il miracolo perfezionato dal commissario tecnico italiano Gianni De Biasi.

xhaka cuoricino

Ecco tutti i nomi. Nella selezione elvetica troviamo Arlind Ajeti, difensore del Frosinone nato e cresciuto a e nel Basilea, proprio come i fratelli Xhaka. Lui, come gli altri, ha fatto parte di tutte le selezioni rossocrociate sino all’Under 21; il centrocampista del Friburgo, addirittura (nato e cresciuto nel Canton Turgovia) Amir Abrashi, era nella selezione del ct Pierluigi Tami alle Olimpiadi di Londra 2012, dove vestiva la maglia numero 8.

Storie simili, poi, per i vari Ermir Lenjani, Shkëlzen Gashi, Burim Kukeli. Quest’ultimo, centrocampista dello Zurigo, kosovaro di Giacovizza come una vecchia conoscenza del calcio italiano, il mediano Lorik Cana (ex Lazio), il quale – a sua volta – condivide con l’ex Como Migjen Basha la zona del campo da difendere e la particolare società da cui è partito: il Dardania Losanna, formazione di quinta serie studiata proprio per i calciatori immigrati.

Volti noti nella rosa della Svizzera: Blerim Dzemaili (di origine macedone ma di etnia albanese, centrocampista del Genoa), Xherdan Shaqiri (Stoke City, ex Inter e Bayern Monaco, kosovaro di Gnjilane), Admir Mehmedi (attaccante del Bayer Leverkusen, anch’egli dal sangue misto macedone-albanese) e Shani Tarashaj, giovanissimo puntero classe ’95, nato ad Hausen am Albis da famiglia albanese: sul suo passaporto appare solamente la bandierina rossocrociata… Loro e, come accennato, Granit Xhaka, fischiato come gli altri nei recenti precedenti delle due nazionali, scontratesi in occasione delle qualificazioni ad Euro 2014: l’andata a Lucerna (con più di mezzo stadio a tifare Albania), il ritorno a Tirana. Erano accusati di alto tradimento dai loro connazionali. La compagine alpina vinse entrambe le partite e Shaqiri segnò sia all’andata che al ritorno.

Hanno avuto e dato molto

La Svizzera di oggi sta cercando, ormai da anni, di interrompere i flussi migratori. Ora che il bisogno di manodopera straniera è decisamente inferiore agli anni del boom. Ci provò egli anni ’70 col sistema dei «tre cerchi» per evitare il cosiddetto «inforestierimento».

Tra referendum e proposte di legge, Berna medita il da farsi anche oggi che la minoranza di immigrati balcanici ha di gran lunga superato quella italiana. E che, complessivamente, la popolazione straniera ammonta al 20%.

Ma la storia, ormai, il suo dado l’ha già tratto e certi “freni” appaiono decisamente anacronistici: se nel calcio, a Losanna, esiste l’Fc Dardania, in ambito culturale, a Ginevra, ecco l’Università Popolare Albanese. Mescolanza ed esempi di integrazione solidi come i muri dei palazzi costruiti dai muratori scappati dai Balcani, a partire dagli anni ’60. Che in Svizzera han fatto fortuna ma che hanno dato anche molto, al paese che li ha ospitati.

A cominciare, nel calcio, da tutti quei fratelli. Che sabato pomeriggio, dalle 15 alle 17, saranno «fratelli contro».