Si scrive anti-diffamazione, si legge bavaglio. Oggi a Tirana è prevista l’approvazione da parte del parlamento albanese del cosiddetto «pacchetto anti-diffamazione», la controversa riforma dei media che nelle intenzioni del premier socialista Edi Rama mira a contrastare la diffusione delle fake news, ma che fin dalla sua presentazione ha sollevato numerose critiche da parte di associazioni per la difesa di diritti umani, e di organismi internazionali quali Osce e Ue. La riforma infatti mette seriamente a rischio la libertà di espressione e l’esistenza stessa di molti media albanesi.

Nell’ottobre dello scorso anno il premier albanese aveva annunciato un pacchetto anti-diffamazione che avrebbe introdotto multe salate per quei portali di informazione rei di diffondere fake news. I due disegni di legge sono stati poi presentati dal governo con qualche modifica nel luglio scorso, nel mezzo della più profonda crisi politico-istituzionale che ha attraversato l’Albania negli ultimi anni. La riforma contiene una serie di emendamenti che modificano la legge sui media audiovisivi e quella sulle comunicazioni elettroniche. Una riforma che secondo Reporters Without Border introduce un vero e proprio «regime di controllo amministrativo sui media online attraverso l’Autorità dei media audiovisivi (Ama)», un provvedimento definito «senza precedenti» nei sistemi democratici.

L’Ama è infatti un’autorità i cui membri vengono nominati e rimossi dai partiti politici. «Alla maggioranza in parlamento – spiega Koloreto Cukali, direttore esecutivo dell’organizzazione Albania Media Council – spetta la designazione del presidente e della maggioranza del board dell’Ama. La conseguenza è di sostituire un modello di auto-regolamentazione dei media online con un regime che pone i media sotto il controllo della maggioranza».

Nella riforma vengono poi introdotte tutta una serie di misure restrittive che possono essere imposte dall’Ama ai provider delle comunicazioni elettroniche, che vanno dalla rimozione forzata dei contenuti, alle sanzioni previste in caso di non meglio definite «violazioni della dignità e della privacy dei cittadini», alla possibilità di blocco dell’accesso a Internet «nei casi in cui i servizi di media elettronici possono favorire reati tra cui la pedopornografia, il terrorismo o la violazione della sicurezza nazionale».

«Nell’ordinamento albanese esiste già il reato di diffamazione, spiega Cukali, ma con questo pacchetto si punta ad accorciare i tempi: in 72 ore l’Ama prende in esame la richiesta di rimozione di un articolo online ad esempio e se riscontra delle violazioni della legge, può comminare fino a 4mila euro di multa. Una cifra enorme in Albania soprattutto per i portali di informazione. Approvare questa riforma, prosegue ancora Cukali, è un modo per esercitare una pressione indiretta sugli operatori del settore. Al giornalista non resterebbe che scegliere se autocensurarsi o pagare delle multe così alte da mettere a rischio l’esistenza del sito web».

La riforma che secondo il direttore di Albania Media Council avrebbe anche un effetto domino sulla morsa autoritaria in cui sono stretti oggi i Balcani, potrebbe avere un impatto potenzialmente devastante sul sistema mediatico albanese, dominato da un lato da una forte concentrazione dei media in poche mane, tra l’altro collegate con il mondo della politica, e dall’altro da una tendenza a denigrare il lavoro giornalistico. «Il terremoto è stato un test significativo per capire cosa succederà se questa legge verrà approvata» spiega Cukali che cita il caso di una ragazza arrestata per aver pubblicato su facebook un articolo di Avvenire in cui si paventava il rischio di esplosione di un deposito di gas a Durazzo. «E questo – chiosa – non è che l’inizio».